Trame persiane: tra Impero e Califfato

L’Impero di Persia? Un sogno redivivo. Come il Califfato turco di Recep Tayyip Erdoğan. La difesa dei credenti, la religione stessa, in fondo, sono i gemelli siamesi del comunismo imperialista cinese. Rappresentano, cioè, un velo ideologico-religioso per coprire le reali impudicizie del potere secolare. Così le marine militari, turca e cinese, in particolare, si riappropriano con la forza di ciò che loro considerano territorio della Nazione (le acque al largo di Cipro, da un lato, e il Mar di Cina meridionale dall’altro), facendo affidamento sulla passività e pusillanimità di un Occidente, soprattutto europeo, che all’aggressione armata risponde appena con la voce stanca e rauca di sanzioni commerciali e diplomatiche, tanto inutili quanto inefficaci. Si veda in proposito l’episodio di caccia militari che dirottano un aereo civile dell’Unione europea senza che vi sia una reazione adeguata di pari livello nei confronti dell’aggressore. Se fosse capitato agli Usa, quel Paese che ha violato le leggi internazionali sarebbe rimasto in un solo giorno senza la sua aviazione militare! Allo stesso modo, si finge di ignorare la politica iraniana nella regione che, a partire dal 2014, ha provveduto a rifornire l’arsenale di Hamas con migliaia di missili di nuova generazione.

Nemmeno una parola, poi, da parte dei più fermi sostenitori del politically correct sul fatto che si tratti di un inescusabile atto di terrorismo internazionale quello di aggredire la popolazione civile israeliana inerme con una salva di migliaia di missili che, se non ci fosse stato lo scudo di Iron Dome, avrebbe causato moltissime vittime tra gli israeliani, arabi compresi, visto che i tiri sono stati del tutto casuali e mirati a colpire alla cieca insediamenti urbani nel raggio di qualche decina di chilometri. Nella comunicazione ordinaria dei media occidentali, si avverte la sottovalutazione colpevole delle attività e della capacità di penetrazione dell’intelligence iraniano all’interno di Nazioni considerate nemiche, come Israele, al fine di organizzare e di mobilitare le rivolte palestinesi negli ex territori occupati e nei quartieri arabi di Gerusalemme. Puntualmente, l’Iran si è tempestivamente mossa dietro le quinte della protesta palestinese contro le politiche israeliane di controllo dell’ordine pubblico per l’accesso ai comuni luoghi sacri di Gerusalemme, rafforzando militarmente Hamas per un attacco missilistico in grande stile.

Il tutto in risposta alla politica del Governo israeliano di progressiva espulsione (a seguito di un contenzioso sui titoli della proprietà immobiliare) dei residenti arabi che abitano nella parte Est della Città Santa. Anche in questo caso, la motivata protesta dei palestinesi israeliani è servita agli scopi tattici e strategici dell’Iran per bloccare, da un lato, il riavvicinamento degli arabi moderati a Israele a seguito della firma degli Accordi di Abramo, promossi da Donald Trump (e confermati da Joe Biden) e sottoscritti da Marocco, Emirati Arabi e Bahrein. Dall’altro, Teheran, attraverso il conflitto israelo-palestinese, promuove una strumentale guerra per procura per far pesare la sua Spada di Brenno al tavolo dei negoziati sul nucleare con America ed Europa. L’assistenza militare quindicennale assicurata dall’Iran ad Hamas si articola su due livelli. Il primo fa riferimento alla tecnologia e alla logistica. Poiché gli israeliani hanno il pieno e costante controllo delle attività sospette negli ex territori occupati di Gaza e Cisgiordania (grazie ai satelliti-spia, alle intercettazioni telefoniche e ambientali e al cyber spying), Hamas, con il pieno appoggio dei consulenti militari iraniani, ha tratto spunto dalla strategia vietcong delle reti sotterranee di tunnel per arrivare a ridosso dello schieramento nemico, trasportando uomini e armamenti a distanza utile per l’attacco.

Altrove, invece, come in Libano, i miliziani fondamentalisti di Hezbollah, nemici giurati di Israele, sono apertamente alleati dell’Iran e sostenuti militarmente dai suoi Guardiani della Rivoluzione, così come accade in Siria per il supporto al regime Assad. Il secondo livello riguarda invece la strategia che tende a evitare lo scontro armato diretto con l’America e l’Occidente. Sebbene l’Iran, come del resto la Turchia, disponga di tecnologia avanzata per l’impiego sia di droni armati negli scenari di guerra, in grado di sfuggire ai radar di terra, sia di missile guidance dei razzi a testata convenzionale a medio e a lungo raggio, non le ha volutamente trasferite alle formazioni di Hamas. Del resto, le loro caratteristiche e le complessità di fabbricazione, installazione e operabilità ne rendono problematica l’implementazione in realtà come quelle di Gaza, prive delle necessarie basi logistiche di supporto e di tecnici specializzati per il controllo in remoto delle operazioni di attacco. Le relative attività, tra l’altro, non sfuggirebbero al monitoraggio dell’intelligence israeliana, che vanta la totale superiorità aerea, in grado di distruggere tempestivamente ogni possibile minaccia di questo tipo.

In astratto, dal punto di vista di un eventuale contrattacco militare, attraverso l’invasione via terra e/o raid aerei mirati, Israele resta, sempre e comunque, obbligata dal contratto civile nei confronti della Comunità internazionale a minimizzare le possibili perdite umane tra la popolazione civile palestinese. In generale, Tel Aviv è tradizionalmente restia a far ricorso all’esercito per penetrare in profondità nelle difese terrestri di Hamas e distruggerne il più possibile la rete dei tunnel, in quanto questo tipo di scelta estrema darebbe luogo a notevoli inconvenienti. Da un lato, infatti, l’invasione provocherebbe un ritorno in grande stile dell’Intifada, costringendo il mondo arabo a irrigidirsi sulla difesa incondizionata della rivolta palestinese.

Dall’altro, per l’immediato ritiro prenderebbero posizione il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e le opinioni pubbliche occidentali, isolando così il Governo israeliano. Mantenere, poi, per un tempo non breve truppe d’occupazione a Gaza vorrebbe dire sostenere perdite non indifferenti nei ranghi dell’esercito, con pesanti ricadute negative sull’opinione pubblica interna israeliana e sulla stabilità dell’Esecutivo. In un simile scenario, tra l’altro, l’Iran potrebbe scegliere il gioco del “tanto peggio-tanto meglio”, favorendo azioni terroristiche a tutto campo da parte delle formazioni radicali pro-palestinesi, che colpirebbero Paesi come l’Egitto e altri interessi occidentali, mettendo in seria difficoltà la stabilità dei regimi arabi conservatori più vicini all’Occidente e agli Usa.

A questo punto, per di più, potrebbe entrare in scena un altro pericoloso attore mediorientale, come la Turchia, già difensore con le armi del movimento dei Fratelli musulmani presenti in Libia, Siria e Azerbaigian, al punto di mettere in seria difficoltà l’Occidente e la Russia di Putin. Ci si può legittimamente chiedere, a questo punto, quali utili iniziative possa intraprendere la pavidissima Europa di Bruxelles, muovendosi di concerto con l’America di Joe Biden. Ad esempio, si potrebbe partire dall’attuale stato di distruzione delle infrastrutture delle reti di pubblica utilità (elettrica, fognaria, ospedaliera e stradale), rase al suolo o fortemente danneggiate dai recenti raid aerei israeliani, promettendo allo sfortunatissimo popolo di Gaza la loro rapida, efficace e tempestiva ricostruzione, da estendere anche sul piano economico generale creando nuova occupazione, attraverso l’attività edilizia sia di rimozione delle macerie e la ricostruzione degli isolati colpiti, sia di ripristino della struttura ospedaliera. Mai ripetere, infatti, gli errori dell’America nella ricostruzione civile dell’Iraq post-invasione del 2003!

Aggiornato il 26 maggio 2021 alle ore 12:10