Le Twin Towers d’Oriente: civiltà in guerra

Siamo tutti ebrei e palestinesi! Perché, in fondo, non esiste un solo modello Twin Towers per far venir giù questa nostra ipocrisia all’occidentale, nei confronti di un Islam che nulla a che fare con la sua tradizione millenaria di grandi pensatori e poeti. Ed è proprio questo far finta di non vedere come stanno realmente le cose, che oggi ha rimandi e riflessi inquietanti con quanto avvenne durante la caduta dell’Impero Romano, in cui le legioni in difesa di Roma vennero affidate a condottieri barbari, a causa della totale impotenza e incapacità a combattere mostrata dai cittadini romani di allora.

Analogamente, si assiste alla intollerabile ipocrisia di piazze occidentali mobilitate dalla sinistra radical chic, che manifestano contro Israele per il suo over-reacting nel contrastare l’aggressione armata di Hamas sul proprio territorio, fatto che ha dato luogo alla drammatica, inaccettabile contabilità di un numero di vittime civili palestinesi ben superiore alle perdite israeliane. Ma, come si sarebbe potuto, in alternativa, disarmare pacificamente i miliziani di Hamas? Ancora una volta, si ignorano pubblicamente i termini dello statuto del gruppo fondamentalista (che rimane nella lista nera del terrorismo internazionale ed è pronto a impadronirsi della Cisgiordania per via elettorale!), in cui si dichiara solennemente che non vi sarà mai pace in Medio Oriente, finché non sarà cancellata dalla faccia della terra l’Entità sionista dello Stato di Israele.

David Grossman nel suo intervento ecumenista sul Corriere della Sera, dal titolo La strada del vivere insieme, né molti altri pacificatori di penna come lui riescono a mirare, a quanto pare, al cuore del problema che è, innanzitutto, connaturato con la spietata propaganda culturale e politico-religiosa che, almeno da un secolo a questa parte, penetra capillarmente e, forse, irreversibilmente in profondità nel vissuto dei due popoli. L’attenzione, anziché sugli effetti fisicamente disastrosi delle armi moderne, dovrebbe soffermarsi assai più a lungo sulle devastazioni spirituali e intellettuali che questa attestazione di superiorità, da una parte come dall’altra, sta provocando da generazioni nell’animo di chi si trova a nascere in uno dei due campi combattenti, e che lo rende di fatto un… talebano irriducibile e spietato in difesa delle proprie ragioni e del proprio diritto all’esistenza (ovviamente, a spese dell'altro!). Si deve andare a cercare la verità intrinseca di questo dramma insolubile nei testi scolastici elementari, medi e superiori delle due entità storico-religiose-politiche irriducibilmente contrapposte, per cui la sopravvivenza dell’una non è proponibile senza la cancellazione letterale dell’altra dalla carta geografica del Medio Oriente.

In teoria, qualsiasi aiuto internazionale dovrebbe essere rigorosamente condizionato all’eliminazione delle false verità (alla Goebbels!) dai testi scolatici della scuola dell’obbligo sia palestinesi che israeliani, sostituendole con fatti storici incontrovertibili! Il processo di pace, tuttavia, è già scivolato molto tempo fa, in un modo o nell’altro, lungo una china irreversibile. Infatti, guardando come stanno le cose dall’ottica palestinese, la progressiva sottrazione di terra e la gentrification israeliana di non trascurabili porzioni di territori occupati, una volta che la si valuti attentamente su mappe geografiche dettagliate, dimostra come la creazione futura di un eventuale Stato palestinese risulterebbe pari a un tessuto… lebbroso, con decine di lacune e cunei urbani “alieni” collegati tra di loro e innestati all’interno della nuova realtà statuale. Per cui, i grandi intellettuali politically correct israeliani, come i loro illustri colleghi occidentali, dovrebbero chiarire all’opinione pubblica internazionale come si dovrebbe fare per convincere i coloni ad abbandonare i loro insediamenti fortificati, cedendoli pacificamente ai palestinesi!

Sull’altro versante, il problema va molto oltre l’aspetto pratico, perché coincide con la struttura identitaria interna degli arabi palestinesi stessi, presenti nei territori occupati o nei Paesi confinanti che ne ospitano la diaspora e fomentano l’aspetto destabilizzante del principio del “Diritto al ritorno” dei profughi post 1967. In effetti, il fattore che va molto oltre la capacità distruttiva di razzi e aerei si chiama “Islam”, come quello di Hamas e dei fratelli musulmani, o di Hezbollah in Libano. La vera… arma atomica araba è quella. Ovvero, la ferrea volontà di morire per la Jihad che si ammanta sia del volto dell’irredentismo palestinese, sia di quello della difesa, anche attraverso atti di terrorismo a orizzonte pieno, dei valori islamici contro il secolarismo miscredente e demoniaco dell'Occidente e, quindi, di Israele.

Conclusioni? Perché i discorsi e gli impegni relativi di questa nuova sospensione delle ostilità (fino a quando? In attesa che vengano rimpiazzati gli arsenali missilistici di Hamas di qui a qualche anno?) non rimangano lettera morta, occorre rivitalizzare il tessuto economico-occupazionale locale (oggi la disoccupazione a Gaza e Cisgiordania va ben oltre il 50 per cento!), ad esempio mettendo a disposizione delle giovani generazioni palestinesi migliaia di borse di studio europee per la formazione qualificata di ingegneri, medici ed esperti informatici. A questi ultimi, dopo essere stati illuminati sui fatti storici reali e una volta ritornati nei luoghi di origine, spetterà il compito (con il sostegno finanziario dell’Occidente e dei Paesi arabi più ricchi) di innovare la loro società civile, condizionata da molti decenni di rovente propaganda antioccidentale e anti-israeliana.

Migliaia di famiglie benestanti europee potrebbero candidarsi poi per l’adozione, anche temporanea, dell’infanzia palestinese abbandonata o resa orfana, anche a seguito del recente conflitto tra Hamas e Israele. In altri termini, sta a noi europei e occidentali manifestare quella umanità di cui ci facciano tanto vanto, prendendo in carico i bisogni materiali e sociali di chi è rimasto povero e solo a causa del (dei) conflitto (i). Occorre, cioè, passare dai discorsi umanitari all’intervento pacifico umanitario, da svolgersi rigorosamente… sul campo e in via diretta. Vale sempre il detto: “Chiacchiere e tabacchiere di legno il Monte dei Pegni non se le accatta!”.

Aggiornato il 25 maggio 2021 alle ore 11:10