Algeria-Francia: l’eredità dei test nucleari

Alla luce degli ultimi test nucleari annunciati dalla Corea del Nord, motivati dalla necessità di rafforzare le difese nazionali, viene a mente l’eredità che test simili, sperimentati fino a poco più di cinquanta anni fa sul suolo algerino, hanno lasciato nella popolazione e nell’ambiente. Sessantuno anni fa la Francia fece il suo primo test nucleare nel Sahara algerino; tra il 1960 e il 1966 ne furono sperimentati 17, ma complessivamente la Francia ha fatto esplodere 210 testate nucleari in vari siti soprattutto in Polinesia.

Il 13 febbraio 1960, nel deserto della regione del Reggane – non proprio deserta – fu “inaugurata” l’operazione Gerboise bleue, primo test nucleare francese ed il più potente di sempre. Furono fatti detonare 70 kilotoni, con il suo “corredo” di radiazioni; l’esplosione nucleare era quattro volte la potenza della bomba su Hiroshima. Il sito dell’esplosione distava appena settanta chilometri da alcuni villaggi e assistettero all’evento militari e giornalisti francesi e molti algerini, sia operai che funzionari governativi.

Osservando le cronache dell’epoca è evidente che gli algerini sapessero la pericolosità del test. Si legge, da testimonianze locali, che “gli uomini piansero”. Era chiara la consapevolezza che la nube radioattiva si sarebbe propagata in poche ore verso l’Africa centrale e infatti, nel giro di 48 ore, raggiunse anche le coste spagnole e siciliane. Tutt’oggi è ancora visibile, anche dalle immagini satellitari, l’imponente cratere nero che carbonizza il terreno. Mohamed Belhacen, l’ultimo sopravvissuto di una squadra di quindici operai che operavano sul sito della base di Reggane, in una testimonianza di pochi anni fa ricorda che i francesi gli chiesero, prima dell’esplosione, di uscire dalle case per timore che crollassero le mura, poi fu chiesto di stare con pancia a terra e le braccia davanti agli occhi. Infine racconta: “Prima c’era una luce, come un sole”. La testimonianza prosegue con la descrizione del rumore assordante, dell’onda d’urto che si propagava nel terreno, del fumo nero, giallo, marrone che saliva altissimo. Mohamed Belhacen termina parlando della malattia, che pochi mesi dopo ha colpito i suoi figli.

Ancora oggi la questione degli effetti dei test nucleari è aperta tra Francia ed Algeria, con questa anche il tema dei risarcimenti e della decontaminazione dei siti, ancora totalmente in discussione. Ci si chiede: perché la questione dei test nucleari è rimasta un tabù per decenni? Va detto che, indubbiamente, la Francia ha ignorato l’indipendenza algerina, suggellata nel 1962, se ha continuato a fare test nucleari fino al 1966, quattro anni dopo l’indipendenza. Senza dimenticare che queste stesse zone contaminate, all’inizio degli anni 1990, avevano accolto i “campi del Sud” dove l’esercito algerino aveva esiliato migliaia di sospetti islamisti, una sorta di lenta condanna a morte. Negli ultimi anni, in vari contesti, le autorità algerine e francesi si sono dimostrate disponibili ad affrontare la questione delle conseguenze dei test nucleari. Nel 2007, a seguito della visita ad Algeri del presidente Nicolas Sarkozy, è stato istituito un gruppo di lavoro franco-algerino per valutare i siti nucleari, stilare un inventario della loro pericolosità e fare una valutazione per la decontaminazione. Tuttavia, la costituzione di queste commissioni miste non ha portato risultati.

Sono stati poi creati altri due gruppi di lavoro misti, per lavorare sulla questione degli archivi relativi al nucleare e sugli scomparsi nella guerra per l’indipendenza algerina. Tuttavia, dall’ultimo incontro avvenuto nel 2016, nessuna notizia era filtrata da questi gruppi di lavoro fino all’estate 2020. Inoltre, a luglio il presidente algerino e francese, Abdelmadjid Tebboune e Emmanuel Macron, hanno confermato il loro impegno per lavorare sulle numerose problematiche legate agli effetti dei test nucleari, ma soprattutto per corazzare la “memoria”. Infatti, sono stati nominati gli storici Abdelmadjid Chikhi e Benjamin Stora, al fine di rendere indelebili i fatti. Intanto il ministro dei Mojahedin, Tayeb Zitouni, ha confermato che i vari comitati riprenderanno i loro incontri quando il Covid sarà esaurito.

Ricordo che la Francia, dopo l’adozione della legge Morin del 5 gennaio 2010, inerente il riconoscimento ed il risarcimento delle vittime dei test nucleari francesi in Algeria e Polinesia, ha registrato alcuni fascicoli riguardanti casi algerini. Risulta che furono fatte 75 offerte di risarcimento alle vittime civili e militari, che sono rimaste in Algeria durante il periodo dei test nucleari, ma sembra che in quasi dieci anni solo una vittima ha ricevuto un risarcimento. Abdelmadjid Tebboune ha precisato che i risarcimenti sono l’unica soluzione per il danno subito e che “le conseguenze sono ancora acute per alcune popolazioni, in particolare quelle che soffrono di malformazioni”.

Inoltre, ad oggi esiste il problema del materiale contaminato sepolto. In molti siti come quello di In-Ekker, a centotrenta chilometri a nord di Tamanrasset e di Reggane, si rilevano ancora oggi livelli di radiazione elevatissimi a causa di scorie radioattive e materiale contaminato dalla radioattività, come quello vetrificato, sabbie e rocce: tutto intenzionalmente insabbiato. Ma in altri siti, come quello alle pendici del monte Taourirt Tan Afella, restano tabù. Comunque, va detto che i tabù e gli insabbiamenti (teorici e pratici) sono la spina dorsale del “nucleare”.

Aggiornato il 29 marzo 2021 alle ore 10:23