Il cappio turco sull’Iraq del Nord

La visita del Papa gesuita nel Nord dell’Iraq, se ha carpito l’attenzione degli sciiti e ha incoraggiato un dialogo costruttivo con i sunniti, non ha prodotto alcun effetto sulla Turchia. Infatti, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non sembra affatto distolto dal perseguire la sua personale repressione contro le milizie curde del Pkk (Kurdistan workers party) nell’Iraq del Nord, nonostante le implorazioni del Papa, il forte dissenso del governo di Baghdad, ma soprattutto l’opposizione dell’Iran. Come è noto, gli ultimi successi militari di Ankara nella Siria nord-orientale, in Libia e ultimo sul fronte caucasico, Nagorno Karabakh, hanno esaltato l’Io del presidente turco aspirante sultano, che ha lasciato sul suo “tavolo” della geopolitica del Vicino Oriente sia la “questione” kurda sia l’obiettivo di eliminare la gerarchia militare e le basi operative della guerriglia kurda del Pkk.

Il Pkk ha organizzato la sua dislocazione per difendersi dalla Turchia nell’estremo Nord-est dell’Iraq: nel territorio del Kurdistan iracheno e nella catena montuosa di Qandil, al confine iraniano. Inoltre, sempre in territorio iracheno, ma lungo il confine turco, ha una serie di avamposti atti a mantenere i contatti con le aree della Siria controllate dal ramo locale del Pkk, che opera in alleanza con le Forze siriane democratiche (Sdf o Fds). Tali forze sono una composita alleanza, nata nel 2015 durante la guerra civile siriana; l’Sdf oltre che raccogliere le milizie curde, assiro-siriache e arabe, assolda anche una brigata internazionale e alcune minoranze armate. Ricordo che il Pkk è stato in prima linea nella lotta in Siria contro l’Isis, ed era attivo anche nel massiccio iracheno del Jebel Sinjār, o Shengal curdo (tristemente noto per il “genocidio” degli yazidi), dove i suoi soldati hanno salvato e protetto i sopravvissuti yazidi dalle atrocità jihadiste.

Tuttavia, l’attivismo del Pkk in Iraq tormenta un altro partito kurdo il Pdk, Partito Democratico del Kurdistan, che anche se è stato l’artefice della liberazione dall’Isis da Erbil e dalla zona curda nel nord dell’Iraq, si è avvalso dell’aiuto turco per neutralizzare i suoi rivali politici curdi dal Pkk. Il mese scorso la Turchia ha lanciato la seconda fase dell’Operazione Tiger Claw (artiglio della tigre); la prima fu messa in atto ad agosto 2020 nella regione kurda autonoma di Haftanin, con lo scopo, secondo Erdogan, di annichilire i vertici del Pkk che sono ritenuti una minaccia per la Turchia. In quella circostanza, furono uccisi tre soldati iracheni. In questa seconda fase della Tiger Claw, Ankara ha dichiarato di avere ucciso almeno 60 guerriglieri del Pkk, mentre tre soldati turchi sono rimasti uccisi, tutto avvenuto nella regione di confine di Gara a 150 chilometri a Nord ovest di Erbil. Inoltre, tredici ostaggi, tra militari e agenti dell’intelligence turchi, rapiti dal Pkk tra il 2015 ed il 2016, sono stati uccisi, secondo Ankara, dai miliziani curdi del Pkk nella stessa circostanza. Questi ultimi hanno negato tali accuse, attribuendo le colpe agli attacchi dei soldati turchi nel tentativo fallito di liberare gli ostaggi. Tali accuse di Ankara al Pkk stanno scatenato forti polemiche nel Paese e vengono utilizzate per giustificare una nuova campagna di arresti nei circoli curdi e filo-curdi in Turchia. Infatti Erdogan, il 15 febbraio ha proclamato che “ad oggi nessun posto è sicuro per i terroristi (Pkk), né a Qandil, né a Sinjar, né in Siria”.

La politica di Erdogan verso il nuovo presidente Usa ha fatto un primo test proprio sulla questione degli ostaggi turchi rimasti uccisi, infatti il presidente turco ha spinto per convincere Joe Biden che gli artefici di tale massacro sono i “terroristi del Pkk” così chiamati da Erdogan. A questo punto, sembra che siano state costruite tutte le condizioni affinché Erdogan intensifichi il suo impegno militare in Iraq. Così il turbamento suscitato in Turchia dal “massacro di Gara” ha creato un presupposto favorevole ad una offensiva punitiva. Circa la posizione di Biden, dopo aver reagito in un primo momento misuratamente, forse fingendo di credere in un Pkk “terrorista”, distinguendolo dal Sdf (in Siria), sembra ora assecondare gli obiettivi di Ankara che punta su un Pdk che possa prendere il sopravvento sul Pkk nel Kurdistan iracheno. Anche Baghdad ed Erbil puntano ad annichilire il Pkk nel massiccio del Jebel Sinjār. È proprio in questa area che Ankara potrebbe intraprendere le “manovre” per raggiungere l’obiettivo di una “cintura di sicurezza” al suo confine meridionale, libera dalla presenza del Pkk in territorio iracheno come già è in territorio siriano.

Naturalmente, il governo di Bagdad intima Ankara di rispettare la sovranità territoriale, ma il primo ministro iracheno, Mustafa al-Kadhimi, in visita nella capitale turca lo scorso dicembre, ebbe, già allora, la consapevolezza di non essere in grado di opporsi ai progetti di Erdogan. Resta così Teheran a denunciare le invadenti mire turche; inoltre, le milizie filo-iraniane, un vero Stato all’interno dello Stato iracheno, sono alleate nell’area di Sinjar alle reti del Pkk per bloccare, lì, il Pdk. Così una nuova offensiva turca in Iraq potrebbe ora portare a una grave crisi tra Ankara e Teheran, sostenute rispettivamente dal Pdk e dal Pkk, polarizzando ulteriormente la scena curda tra queste due parti.

L’Iraq apparirebbe quindi ancora una volta, dalla eliminazione del rimpianto Saddam Hussein, più uno scenario di guerra che uno Stato indipendente. Questa configurazione conflittuale favorirebbe nuovamente quelle cellule dell’Isis ancora attive nelle aree desertiche tra Iraq e Siria. Ancora oggi riecheggia in Iraq il messaggio di pace lanciato al mondo e pronunciato in italiano, dal Papa. E, di fronte a tali rischi, sarebbe logico operare, a livello internazionale, per evitare una escalation di questo tipo, che cancellerebbe quell’opera politica che ha visto i cristiani promotori di un dialogo di pace pure interreligioso. Ma, come vediamo, i “campanilismi anche religiosi” in questa area, ma direi ovunque, sono solo un alibi per giustificare egoismi politici.

Aggiornato il 15 marzo 2021 alle ore 10:24