Caso Navalny: nuove sanzioni per la Russia

Arrivano le prime sanzioni dell’Amministrazione di Joe Biden contro la Russia per il caso di Aleksej Navalny, il leader dell’opposizione liberal-democratica al governo di Vladimir Putin, recentemente arrestato e condannato al carcere, del quale gli Usa tornano a chiedere l’immediato rilascio senza condizioni. Secondo l’intelligence statunitense, peraltro, l’avvelenamento che è quasi costato la vita al principale antagonista dello status quo in Russia, fu ordito proprio dallo stesso presidente Putin e dai suoi fedelissimi. Risoluzioni analoghe sono state adottate dall’Unione europea.

L’intento pare sia quello di mandare un messaggio al capo del Cremlino: d’ora in avanti – anche per sottolineare la rottura con la politica di distensione e sostanziale disinteresse voluta da Donald Trump – la politica interna della Russia sarà fatta oggetto di speciali attenzioni da parte degli alleati della Nato. Questo è quanto si apprende da parte dei responsabili del National security council, organismo della Casa Bianca preposto all’elaborazione di strategie geo-politiche, i cui membri hanno ammesso apertamente che i provvedimenti adottati hanno un valore più simbolico e politico, che non finanziario. A maggior ragione che gli scambi economici tra i due Paesi sono ridotti ai minimi termini da un pezzo e che le sanzioni in questione hanno una natura personale: vale a dire che colpiscono alcuni tra i personaggi più in vista al Cremlino, gli uomini della “cerchia” di Putin, i cui beni negli Stati Uniti e in Europa sono stati posti sotto sequestro.

La Russia, dal canto suo, fa sapere, per bocca del ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, che risponderà alle sanzioni “in base al principio di reciprocità”. Gli alleati cinesi si schierano dalla parte del Cremlino, liquidando il caso Navalny come una “questione di politica interna” e sostenendo che l’Amministrazione americana e l’Unione europea non hanno alcun diritto di interferire. Ora, che il caso Navalny e, più in generale, il trattamento riservato agli oppositori politici in Russia sia qualcosa di semplicemente vergognoso e inconcepibile per qualunque coscienza democratica e liberale, è cosa sulla quale non vi possono essere dubbi. Che quello russo sia un regime autoritario dal quale guardarsi è cosa altrettanto certa. Che in Russia la libertà d’espressione (e non solo quella) sia praticamente inesistente, è un dato di fatto. Che in quel Paese vigano leggi oscurantiste, oppressive e illiberali lo sanno tutti. Che l’Occidente non possa restare a guardare – come pure suggerito da taluni – è inevitabile.

Bisognerebbe quindi – come certamente auspicato dai democratici americani – tornare alle strategie “neo-con” e cercare di fare con la Russia quello che si è fatto in Medio-Oriente ai tempi di Bush o in Maghreb durante l’era Obama? Ossia destabilizzarla politicamente – fomentando rivolte e insurrezioni, laddove possibile – oppure lasciare la parola direttamente ai bombardieri? Assolutamente no. Questo tipo di strategia si è già rivelata miope, fallimentare e decisamente troppo costosa, sia in termini economici che di vite umane. Senza contare l’erroneità della visione di fondo: quella di un Occidente “portatore di civiltà e democrazia”, legittimato a “educare” imponendo i propri valori e i propri modelli politici anche a popoli che non li condividono affatto o che non possiedono quella maturità necessaria per trarne qualche beneficio.

Tuttavia, se non possiamo dire agli altri cosa fare in casa loro, se non abbiamo il diritto di “esportare” i nostri valori e i nostri modelli, abbiamo invece il sacrosanto diritto di difenderli e di rivendicarli ogni volta che le circostanze lo richiedano. Il che non significa solo “rimarcare i confini” (in senso morale oltre che politico) oltre i quali a nessuno deve essere consentito spingersi, ma anche far sentire la propria voce all’occorrenza, saper prendere una posizione netta e decisa, mandare dei chiari segnali e adottare tutti i provvedimenti del caso. Proprio questo è quello che giustifica l’adozione delle sanzioni verso l’entourage di Putin.

Senza mettere mano alle armi – cosa che andrebbe pensata come soluzione estrema da adottare, solo quando sussistano dei pericoli oggettivi e imminenti alla nostra sicurezza e alla nostra libertà – e senza immischiarsi nelle vicende politiche altrui, si può e si deve far sentire la propria voce contro uno Stato – la Russia, per l’appunto – che accarezza progetti neo-imperialisti; che costituisce il riferimento, il “faro” per tutti coloro che vorrebbero distruggere la società libera e lo Stato di diritto; che nutre un profondo disprezzo nei nostri confronti e che si vanta di calpestare tutte quelle libertà e quei diritti che sono il fondamento politico e culturale, sul quale abbiamo edificato quella casa comune che è l’Occidente.

 

 

 

Aggiornato il 09 marzo 2021 alle ore 11:53