Somalia: gli islamisti colpiscono ancora

La capitale somala Mogadiscio è sistematicamente bersagliata dagli attacchi degli islamisti di al-Shabab che da anni tessono azioni terroristiche per rovesciare il governo regolarmente eletto “secondo i parametri locali”. Nel 2011, i miliziani del gruppo jihadista furono cacciati da Mogadiscio, anche se ancora oggi controllano parte della regione, similmente ad altri gruppi terroristici islamici che assoggettano vaste aree del Sahara-Sahel. L’ultimo attacco si è verificato sabato 13 febbraio proprio quando il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, soprannominato Farmajo, stava negoziando con i leader degli Stati regionali i tempi per indire le nuove elezioni politiche. Lunedì 15 febbraio, ad una settima dalla fine del mandato del presidente, si dovrebbe tenere la riunione conclusiva per il programma della prossima tornata elettorale. Nell’attentato risultano decedute tre persone, anche se il dato sembra parziale e almeno altre otto sono rimaste ferite a causa dell’esplosione di una autobomba avvenuta nella Capitale, non lontano dal Palazzo presidenziale. Il numero delle vittime sarebbe stato senza dubbio più pesante se non vi fosse stata una anticipata reazione delle Forze di sicurezza somale; i militari hanno previsto le azioni dei terroristi islamici, colpendo in anticipo il mezzo che sarebbe stato fatto esplodere. La concitazione del momento ha permesso alle persone presenti in zona di ripararsi, così il mezzo è stato fatto esplodere dai terroristi non nelle condizioni previste, non lontano dal checkpoint, risparmiando numerose vite umane.

La travagliata vita politica somala è al centro delle attenzioni sia delle Nazioni Unite che dell’Unione Africana. Infatti, da tempo lo Stato del Corno d’Africa è in un vicolo cieco politico rafforzato dalla fine ufficiale del mandato del presidente, scaduto domenica 7 febbraio. Inoltre, l’opposizione sostiene che Farmajo, non essendo riuscito a stabilire la data delle elezioni, è da considerarsi illegittimo dopo la fine ufficiale del suo mandato. Così, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invita il governo federale e gli stati regionali a riprendere i colloqui finalizzati allo svolgimento delle elezioni, soprattutto per evitare che quella parvenza di “regolare vita politica”, possa subire il sopravvento del potente gruppo di al-Shabaab, che notoriamente ha infiltrazioni in molti ambiti della società e contatti con altri sistemi e “servizi”, jihadisti e non, esterni alla Somalia.

Barbara Woodward, rappresentante permanente del Regno Unito presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a nome dei membri del Consiglio, ha esortato i leader somali a riprendere con urgenza il dialogo e di lavorare insieme nell’interesse del popolo somalo per raggiungere, il prima possibile, un accordo sulle modalità di svolgimento delle elezioni politiche, confidando sulla positività del vertice previsto per il 15 febbraio. Un primo tentativo diplomatico per scongiurare un fallimento del vertice è stato verificato l’8 febbraio; in quella occasione il presidente Farmajo ha accusato i rappresentati di due dei cinque Stati regionali, lo Jubbaland ed il Puntland, di non voler rispettare alcun accordo finalizzato ad una pianificazione elettorale. I gruppi politici della attuale opposizione chiedono la formazione di un Consiglio di transizione per guidare il Paese alle prossime elezioni, nel rispetto di quanto stabilito nella Costituzione somala. Come rilevato dalle osservazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le incertezze e le divisioni sulle strategie per affrontare le elezioni, favoriscono il gruppo estremista somalo di al-Shabab, che tenta di proiettare la sua ferale ombra sulle elezioni, minacciando attentati a chi si recherà alle urne. Alcuni giorni fa il gruppo terroristico ha lanciato, sui suoi social usuali, una serie di video-propaganda in cui critica il presidente e il processo elettorale. A rafforzamento del clima di terrore che al-Shabab vuole diffondere, attacchi dimostrativi si sono verificati in alcune città che hanno ospitato i comizi elettorali del presidente, non causando vittime in questi casi. Ricordo che il Paese è precipitato nell’instabilità dal 1991 e dalla caduta del regime militare, dell’ex presidente Mohammed Siad Barre, la Somalia è piombata in una guerra tra clan seguita dall’insurrezione degli islamisti radicali Shabab.

Nel frattempo, la Somalia, non senza preoccupazione, si sta adeguando all’avvenuto ritiro dal suolo nazionale, di circa 800 militari statunitensi; questo processo di disimpegno si è concluso come da programma a metà gennaio. Tale ritiro dei militari statunitensi sta creando l’ennesimo shock della Sicurezza nazionale, aggravato dalla previsione che anche la forza di sicurezza dell’Unione africana, composta da oltre 21 mila militari, ha programmato di lasciare la Somalia entro la fine dell’anno. Il previsto processo di disimpegno del sostegno militare internazionale farebbe prevalentemente il giuoco dell’incombente gruppo terroristico di al-Shabab, il quale ha solidi legami con il mondo jihadista internazionale, ed africano in particolare, e che è un anello fondamentale della “catena jihadista” che lentamente sta strangolando l’Africa.

Aggiornato il 15 febbraio 2021 alle ore 10:57