Biden l’ecumenista, consociativismo all’italiana

Il pendolo d’America ha scelto Joe Biden. E lo ha fatto con uno scostamento minimo dalla sua posizione di equilibrio. Ma, il 3 novembre il popolo ha parlato, come è giusto che sia. Quindi: Amen. Di tizzoni accesi, per Donald Trump, ne resteranno sempre più scarsi per ravvivare le sue speranze di rielezione che, inesorabilmente, avranno termine l’8 di dicembre, giorno del giuramento del nuovo presidente. Ma non sarà così, anzi all’opposto, per quanto riguarda la sua legacy (eredità) destinata a nutrire anche per il futuro lo spirito di quei 71 milioni di cittadini americani che hanno votato l’incumbent (presidente uscente). Di lui, del suo carisma fin troppo guascone, restano da capire molte cose. Prima fra tutte: come farà il capo dell’opposizione? Per tweet fulminanti, dell’uno-contro-tutti, o coltiverà una sua squadra ben vista dal Partito Repubblicano, i cui punti di forza non potranno che essere individuati all’interno del suo clan familiare, con particolare riferimento alla figlia Ivanka e al genero Jared Kushner, che si è già dimostrato un grande facitore e tessitore di sottili trame fiduciarie nelle complesse e bizantine relazioni internazionali con le petromonarchie del Golfo? Nel 2024, ad esempio, Ivanka sarà pronta a sfidare Kamala Harris, qualora l’America fosse a sua volta pronta ad avere un presidente donna, dopo averlo accettato oggi nella figura della vice di Joe Biden? E lì nemmeno ci sarebbe bisogno, nel caso di Ivanka, di un…ticket, dato che Jared Kushner sarebbe già titolato a svolgere un ruolo istituzionale di primo piano come…first husband!

Ma nemmeno i democratici stanno tanto bene a casa propria. La tempesta Trump li ha riuniti sotto lo stesso tetto per ripararsi dal diluvio populista e costruire con pazienza la loro Arca di Noè, fatta di schede elettorali inviate via posta. Ma il Biden oggi vittorioso dovrà misurarsi con un Bernie Sanders in vena di rivendicazioni, e con movimenti come Black lives matter e Lgbt che mandano al Congresso propri rappresentanti, inoculando nel sistema germi di pura sovversione e di scontro frontale con quegli altri di QAnon. Se questi ultimi predicano la rivolta contro il complotto massonico della pedofilia mondiale, i primi d’altro canto lottano per il de-founding (togliere i finanziamenti) alle polizie locali. Nel prossimo futuro la legislazione democrat dovrà fronteggiare vere e proprie spinte da socialismo reale, con ampie fasce della sua rappresentanza che torneranno a chiedere sia una riforma incisiva dell’assistenza sanitaria di base, per l’estensione erga omnes dell’Obamacare e del welfare relativo; sia un drastico contenimento degli animal spirits liberisti della globalizzazione incontrollata. Lo scontato ricorso a politiche green più incisive, oltre al ripristino degli Accordi di Parigi, metterà in seria discussione l’estrazione di shale oil dagli scisti bituminosi e porterà alla chiusura delle miniere di carbone esistenti. Tutte iniziative, queste ultime, destinate ad avere un forte impatto sugli assetti occupazionali e sul Pil statunitensi.

Nel 2020, sono tornati nella casa elettorale democrat, dopo averla abbandonata nel 2016 per quella repubblicana, molti consensi di blue collars (metalmeccanici) degli Stati della Rust Belt, che fa riferimento a una sorta di costellazione di siti industriali arrugginiti (“rust”, per l’appunto), in rovina e abbandono, a causa della globalizzazione e della delocalizzazione delle relative produzioni in Asia e in Cina, in particolare. Qui, Biden dovrà dimostrare di saper fare molto meglio del suo predecessore, tenendo in piedi buona parte dei dazi e degli incentivi per la reindustrializzazione di quelle aree disastrate. Per farlo, sarà obbligato a cercare l’alleanza con l’Europa per individuare un fronte comune contro lo strapotere commerciale della Cina, e obbligarla così a competere a condizioni eque, e su una base di reciprocità, sui mercati internazionali. Altro enorme problema sarà cercare di porre un freno al nazionalcomunismo cinese, venendo a capo delle questioni di Taiwan e di Hong Kong con un compromesso onorevole. Gli Usa di Biden dovranno, per di più, riportare la Russia dalla parte dell’Occidente, evitando una sua deriva politico-militare verso la Cina: anche in questo caso andranno individuate soluzioni di compresso, come un allentamento delle sanzioni verso Mosca. Ma non è chiaro come la futura Amministrazione americana si atteggerà nei confronti dell’Iran e del ripristino di un qualche accordo sul nucleare. Sarà inevitabile, anche in questo caso, ricercare una posizione comune con l’Europa che tenga conto, tuttavia, delle priorità Usa di mantenere una stretta alleanza con Israele e con le petromonarchie del Golfo, che vedono in Teheran un nemico mortale e irriducibile. Biden dovrà, per di più, riuscire alla Trump nel difficile compito di tenere fuori l’America dalle polveriere mediorientali di Libia, Siria e Libano evitando un duro confronto con Mosca e Ankara.

Se la rottura del multilateralismo è stata la cifra più rilevante della gestione Trump, il suo capovolgimento a breve termine non è né fattibile, né di stretto interesse della Casa Bianca, se non per quanto riguarda certi aspetti di facciata, come il ripristino della collaborazione con l’Oms (particolarmente preziosa nella nuova strategia di contenimento del Coronavirus) e il rifinanziamento parziale di alcune delle principali istituzioni onusiane. Né, d’altra parte, Biden potrà invertire a breve la politica del muro trumpiano per arginare l’immigrazione clandestina dal Sud America e dal Messico in particolare, visto il voto massivo che le comunità latinoamericane hanno attribuito a Trump, in base alla filosofia di chi si è già integrato nella comunità Usa e non gradisce vedere messi a rischio i propri, spesso minimali, redditi da lavoro dalla sfida al ribasso salariale da parte dei nuovi venuti, anche se connazionali. Infine, tutte le battaglie future sui nuovi diritti (gay, utero in affitto, protezione rafforzata delle minoranze) che certamente verranno portate avanti al Congresso dalle rappresentanze progressiste e rigorosamente politically correct, troveranno un argine insuperabile in sede di ricorso alla Corte Suprema Usa, la cui maggioranza è chiaramente ultra conservatrice. L’unico vero vantaggio di Biden, quindi, sarà la sua innata tendenza all’ecumenismo che, con ogni probabilità, tornerà molto utile nello stemperare tensioni e divisioni che il recente voto delle presidenziali ha reso particolarmente drammatiche e dirompenti.

Aggiornato il 10 novembre 2020 alle ore 10:54