Francia: il separatismo islamista un problema ancora non esploso

La presenza di 6milioni di musulmani in Francia, che comunque sono una minoranza, potrebbe determinare la formazione di una “contro-società” se i principi di laicità non verranno difesi fino all’ultimo respiro. Il presidente francese, Emmanuel Macron, in più occasioni ha espresso la consapevolezza e la convinzione che il “separatismo islamista” non può prendere il sopravvento sulle leggi dello Stato, che proprio nell’ambito religioso, risalgono al 1905. L’attacco alla chiesa di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza, avvenuta a pochi giorni dalla festa religiosa di Ognissanti, segue all’assassinio di Samuel Paty avvenuto meno di quindici giorni fa; questo professore è stato anche lui decapitato a Conflans-Sainte-Honorine, Comune situato nel dipartimento di Yvelines, per aver mostrato ai suoi studenti le caricature di Maometto.  L’autore dell’ennesima “strage rituale”, la decapitazione o il tentativo non completato come nei casi di Nizza, è un tunisino che appena bloccato ha dichiarato di chiamarsi Brahim Aoussaoui e di avere 25 anni. Risulta arrivato, come tanti altri, in Francia all’inizio di ottobre dopo essere sbarcato a Lampedusa ed avere attraversato l’Italia con assoluta agevolezza. Faccio presente che non esistono motivi né umanitarieconomici che possono giustificare o rendere “legittimo” che cittadini tunisini debbano essere accolti come rifugiati, o altra definizione che si discosti da clandestini, in quanto la Tunisia, come anche l’Italia, è uno Stato dove si celebrano le votazioni, non esiste una guerra civile e i diritti umani sono rispettati all’incirca come in “Occidente”, dove, tra l’altro, in questi ultimi mesi tali “diritti” presentano svariate crepe.

L’attentato a Jeddah in Arabia Saudita, avvenuto alcuni giorni fa contro una guardia del Consolato francese che ha rischiato la decapitazione, rafforza il concetto che le aggressioni sono indirizzate ad uno “stile di vita”, odiato da coloro che probabilmente non hanno la struttura etica e morale per goderlo, né tantomeno quel minimo di cultura civica per comprenderlo, ma sono affogati in un credo personalizzato, spesso inculcato da imam totalmente disinteressati ad un insegnamento religioso. Le iniziative del presidente francese Macron, finalizzate a frenare e controllare quell’accozzaglia di odio e di violenza espresse da un’unica matrice, includono una supervisione più rigorosa delle scuole coraniche ed il controllo sui finanziamenti provenienti alle moschee dall’estero. Tuttavia, sempre nel quadro di una incomprensione globale, da più fonti islamiche e anche dai Fratelli musulmani, provengono accuse di voler tentare di soffocare l’Islam in Francia. Alcune idee da tempo stanno affollando i pensieri di molti politici francesi, come quella proposta dal gruppo di lavoro denominato La République En Marche (Lrem), partito di Macron, sul “separatismo islamico”, che propone la creazione di un centro di formazione indipendente della scuola nazionale di tipo teologico musulmano. Lo scopo, coraggioso ed a mio avviso difficile da realizzare, è quello di creare una scuola coranica con caratteristiche di cultura civica prima, poi coranica, tale organizzazione sarebbe utile se potesse porre fine al sistema degli imam che provengono da scuole fuori dalla Francia. La fattibilità non è semplice soprattutto per le divisioni all’interno della comunità musulmana su svariate tematiche e inoltre la questione del finanziamento sarà cruciale.

Il Consiglio francese per il culto musulmano (Cfcm) dovrà essere dotato di capacità economiche e burocratiche per poter creare una scuola del genere. Infatti, anche se le norme giuridiche non sono state stabilita e sebbene la proposta provenga dalle autorità, non sarà certo lo Stato a creare questo istituto di formazione teologica, ma dovrà essere il Cfcm. Inoltre, la Francia, con una legge che risale al 1880, ha stabilito che solo il ministero dell’Istruzione superiore può creare diplomi nazionali. Di conseguenza, un istituto non ministeriale non può svolgere ufficialmente attività formativa pubblica, in questo caso istruzione coranica con ambizioni di riconoscimento statale. La creazione di un sistema di equipollenza è escluso e comunque è complicato, visto che nemmeno gli istituti cattolici, così come l’Istituto protestante di teologia, hanno un riconoscimento ministeriale nonostante siano riconosciuti di pubblica utilità e di interesse generale ai sensi della legge sull’istruzione superiore del 2017. Tuttavia, questi istituti si impegnano al fine di raggiungere un livello paragonabile a quello delle università pubbliche; ma ciò presuppone un percorso quinquennale non semplice da strutturare. La volontà di promuovere un Islam moderato e aperto è condivisa da tutti, comprese le associazioni musulmane; ma ognuno dovrà restare nei margini del proprio ruolo e soprattutto entro i limiti fissati dalla legge del 1905. Infatti, non spetta allo Stato definire i contorni teologici dell’Islam ed i programmi di insegnamento dei futuri imam, ma alle associazioni rappresentative che si assumeranno questa responsabilità. Va considerato che oggi molti imam, il cui significato dall’arabo è “colui che sta davanti”, operanti in Francia, hanno “profili” complessi, ma l’ostacolo maggiore è comunque in molti casi il virus dell’ignoranza.

Tuttavia, oggi siamo costretti a ragionare sul tipo di integrazione, ma siamo lontani dal poterla immaginare realizzata, visto che gli attentati terroristici non danno tregua; comunque la tematica è articolata, ed il contesto in cui è collocata ha caratteristiche che dovrebbero inserirsi nel concetto “magico” di integrazione interculturale e su questo da anni manifesto i miei dubbi.

Aggiornato il 02 novembre 2020 alle ore 10:01