Covid-19 in Africa: lo strano sterminio mancato

Con lo scorrere dei mesi aumentano le perplessità sulle effettive caratteristiche virali, con valenza pandemica, del Covid-19. È noto ormai che soprattutto uno specifico stato clinico del contagiato crea le condizioni affiche il virus possa essere letale. Tuttavia, al di là della pericolosità del virus, il Covid-19 è innegabile che sia un business da molteplici punti di vista, soprattutto e purtroppo, anche da quello politico.

Ritengo che il negazionismo sia deleterio per principio, quindi l’alternativa è quella di pescare informazioni negli ambiti mediaticamente più reconditi e tra le sparute “voci”, che potrebbero essere meno interessate affinché questo stato di emergenza permanga. Vediamo così che la psico-pandemia da Covid è accompagnata da tutto quel corollario di “effetti collaterali programmati”, che si manifestano con appalti dati con modalità emergenziali, incarichi a pioggia, visibilità di sedicenti fenomeni della medicina, perlopiù sconosciuti, magari senza competenza in merito, ma prezzolati e da imprese create ad hoc per la produzione di mascherine, camici ed altro, ormai diventate funzionali alla pseudo-emergenza. La speranza, per farsi un’idea più definita, è cercare di capire che cosa accade oltre il plagio informativo che monopolizza i media nazionali e che contamina le menti più vulnerabili; altro effetto collaterale del virus.

Osservando l’andamento del Covid-19 in Africa si notano svariati paradossi: uno di questi è la sproporzione tra gli investimenti fatti per la creazione di strutture sanitarie atte a controllare e combattere il virus e gli effettivi contagiati e deceduti di conseguenza al contagio. In Africa, oltre l’Istituto Pasteur di Dakar e un altro Istituto di ricerca in Sudafrica, sono stati istituiti altri 29 centri sanitari che sono stati disseminati nel continente, finanziati con i fondi dell’Oms e dalle più importanti Comunità internazionali, oltre che con contributi di molti Stati con interessi in loco.

Alla luce dei fatti risulta però chiaro che il Covid-19 in Africa, prospettato dagli esperti di salute pubblica come una pandemia globale e devastante, è invece un virus inseritosi in un ambiente pregno di varie malattie, come “cugino povero” di patologie endemiche e croniche più pericolose.

Osservando sui media africani trasmissioni prodotte da regie non autoctone, risulta, da molte interviste fatte ai comuni cittadini, che sicuramente credono che ci sia il Covid-19, ma non conoscono né infettati né deceduti.

L’inchiesta a cui faccio riferimento è stata realizzata a Kibera, uno dei più vasti bassifondi di Nairobi, in un contesto di promiscuità assoluta che socialmente può rappresentare un esempio concreto.

Le ufficiali statistiche, elaborate da vari istituti internazionali, ad oggi rivelano che il continente africano su una popolazione totale di 1,3 miliardi di abitanti, ha circa 1,4 milioni di casi, dati con attendibilità relativa e quasi la metà sono in Sud Africa; le stesse fonti rivelano che i decessi sono circa 34mila con oltre un milione di guarigioni; con questi dati comprendere, non calcolare, la percentuale è sicuramente arduo visto l’allarme globale.

A differenza dell’Europa o dell’America, dove le informazioni sulla diffusione del Coronavirus parlano di ripresa dei contagi, in Africa il contagio sembra addirittura essere rallentato, quasi fermo. Secondo i dati dei Centers for disease control and prevention (Africa Cdc), circa dieci giorni fa sono stati effettuati 13,6 milioni di test in tutto il continente; tuttavia il grande mistero dei numeri bassi è stato attribuito alla scarsità di test sierologici. Solo tre Paesi – Sud Africa, Marocco ed Etiopia – hanno eseguito più di mezzo milione di test e solo 16 Paesi ne hanno eseguiti più di 100mila.

Il direttore dell’Africa Cdc, John Nkengasong, ha affermato che: “I test sono la pietra angolare della risposta a questa pandemia, senza i test combatteremo alla cieca”. Inoltre ha aggiunto: “Dobbiamo espandere i test e migliorare i tempi di risposta in modo da poter identificare, isolare e trattare rapidamente i casi positivi”; ha elogiato le misure di contenimento veloci e drastiche attuate dai Governi africani dopo l’accertamento della prima infezione continentale avvenuta il 14 febbraio in Egitto.

Già da maggio sono state studiate le cause sul perché l’Africa non subisca quello che viene detto sta subendo il resto del mondo; in Sudafrica il tipo di proiezioni immaginate dai modellisti non si è concretizzato, ciò è confermato Shabir Madhi ricercatore della sperimentazione sul vaccino  Vida Covid-19 presso l’Università di Wits, in Sud Africa. Sia secondo Madhi, che secondo uno studio condotto dall’Università di Oxford, Regno Unito, la scarsa virulenza del Covid-19 potrebbe essere dovuta alla “immunità   incrociata” di un’ampia percentuale di popolazione precedentemente esposta ad altri ceppi stagionali più miti di Coronavirus, che causano tosse e raffreddore, come l’NL63, 229E, OC43 e HKU1 e il Sars-CoV-2.

È opinione di vari studi che l’età media bassa della popolazione africana, con un’aspettativa di vita minore che in occidente, una molteplicità di agenti patogeni, parassiti, virus e batteri, rappresentati da malattie endemiche come ebola, tubercolosi, morbillo, aids ed altri, sicuramente si traduce in una significativa stimolazione dei sistemi di difesa immunitaria; tutti fattori che contribuirebbero a rendere il Covid-19 quasi irrilevante. Inoltre Shabir Madhi, ma anche Elisabeth Carniel, direttrice del Centro Pasteur in Camerun, sostengono, anche se con cautela, che la seconda ondata di virulenza sarà meno incisiva della precedente dei primi mesi del 2020, e che molto probabilmente, come altri Coronavirus, il Covid-19 rimarrà in Africa come “fastidio stagionale”; mentre in Europa e in Italia in particolare, sarà una catastrofe umanitaria con pochi e dubbi decessi giornalieri ed infettati asintomatici; ma soprattutto con una economia diretta inutilmente verso il baratro.

Se l’obiettivo dei “conduttori del pianeta” era quello di un azzeramento globale del “sistema umano” per poi ricostruire tutto in modo meno impattante per il mondo, forse era meglio scegliere un’altra strada, piuttosto che seminare una banale paura, quella paura ben descritta da Jean Delumeau nella sua opera dal titolo “La paura in Occidente: Storia della paura nell’età moderna”; ma oggi siamo in età contemporanea e se la società italiana ha creduto che l’Unità d’Italia sia stata guidata solo dallo spirito risorgimentale e dal patriottismo e che il referendum del 1946 è stato vinto dai repubblicani, può anche credere che il Covid-19 sterminerà la popolazione mondiale.

Aggiornato il 09 ottobre 2020 alle ore 12:58