Gli Usa rafforzano accordi militari con Tunisia e Marocco

Da circa dieci anni, in coincidenza con la funesta deposizione di Muammar Gheddafi, gli Stati Uniti hanno iniziato a tessere relazioni di cooperazione militare con la Tunisia. La confinate Libia destabilizzata da una guerra civile allargata e l’articolato jihadismo del Centro Nord Africa, sono stati il motore che ha dato vita ad una cooperazione tra la prima potenza militare mondiale, gli Usa, secondo la Global Firepower e la “Sentinella d’Europa”, appunto la Tunisia.

Così mercoledì 30 settembre Mark Esper, capo del Pentagono, ha sottoscritto un accordo di collaborazione militare, di durata decennale, con la Tunisia; tale intesa va a sostenere gli sforzi delle forze di sicurezza tunisine che stanno incrementando gli impegni a causa di un chiaro deterioramento della sicurezza nella confinante Libia.

Le forze militari degli Stati Uniti, in questi ultimi anni, hanno sviluppato con l’esercito tunisino strategici rapporti di cooperazione, soprattutto nell’ambito dell’addestramento e della fornitura di attrezzature militari dotate di alta tecnologia. Tali ausili sono stati utilizzati, fino ad ora, ufficialmente solo nell’ambito del controllo dei confini con la Libia ed in molti casi nelle intercettazioni e nell’annichilimento di movimenti terroristici di matrice jihadista operanti in Tunisia.

Ha affermato Esper, dopo l’incontro ufficiale con il presidente tunisino Kais Saïed, che: “Non vediamo l’ora di approfondire questo rapporto al fine di aiutare la Tunisia a proteggere i suoi porti e confini e a ridurre il terrorismo”. Tuttavia durante l’incontro la politica estera “tradizionale” non si è fatta attendere, infatti il Capo del Pentagono, ha aggiunto, mentre era in visita alle tombe dei soldati americani caduti in Nord Africa, che l’obiettivo è sì quello della lotta al terrorismo islamico che rappresenta una minaccia cronica, ma anche quello di manifestare la presenza Usa in Tunisia anche: “Ai nostri concorrenti strategici Cina e Russia”. Inoltre, secondo fonti della difesa statunitense, dalla caduta del presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali nel 2011, gli Stati Uniti hanno investito un miliardo di dollari destinato all’esercito tunisino. Tuttavia risulta che ufficialmente è considerato inaccettabile, da Tunisi, la messa a disposizione di una base permanente Usa in Tunisia, né tanto meno l’uso dello spazio aereo tunisino da parte dell’aviazione statunitense; comunque la roadmap tracciata tra Washinton e Tunisi segna un percorso, poco dettagliato, ma di durata decennale, che in larghe linee garantisce una approfondita formazione militare ed anche un relativo acquisto di armamenti complementari all’addestramento. La prudenza del governo tunisino nel non concedere palesemente spazi aerei e basi agli Usa è motivata dalla forte riluttanza della popolazione tunisina nell’accettare presidi Usa.

In molte ed accese occasioni sono state chieste spiegazioni sulla presenza Usa in alcune aree della Tunisia, ma le autorità hanno sempre negato l’esistenza di basi americane sul territorio. Tuttavia la presenza di postazioni militari statunitensi è innegabile, infatti proprio durante un processo celebrato nel 2017 dalla Corte Marziale Statunitense, che stava giudicando membri delle Forze Armate Usa presenti in Tunisia, veniva menzionata la base militare Usa di Biserta dove venivano testati ed utilizzati droni armati e tattici; tale informazione fu data alla stampa specializzata, ma non passò inosservata in ambienti tunisini. Già a maggio furono inviate ulteriori truppe americane sul territorio a causa della crescente crisi libica, comunque ha specificato il Comando Africa degli Stati Uniti (Africom), che le truppe presenti in Tunisia si stanno occupando solo dell’addestramento e non del combattimento.

In un incontro tra il Segretario di Stato alla Difesa, Mark Esper ed il suo omologo tunisino Ibrahim Bartagi, è stata condivisa la necessità del sostegno degli Stati Uniti nel campo della sicurezza delle frontiere, soprattutto grazie alla sorveglianza elettronica; la base di Biserta conferma.

La strategia Usa in Tunisia è chiaramente più ampia del rapporto di collaborazione militare, in realtà “l’asse di interesse” Usa è ben incanalato sia verso il Marocco che verso il Mali. Infatti, venerdì 2 ottobre è stato proprio il Marocco l’ultima tappa di Esper, che ha così ufficializzato il suo ultimo accordo di cooperazione militare in Nord Africa; un protocollo della durata di 10 anni, basato sulla difesa, molto simile a quello tunisino. La necessità di accordi con questi Stati è motivata anche dal bisogno di bloccare la “tenaglia jihadista” che dal Sahel alla Libia si stringe verso l’estremo Nord Africa. L’accordo con il Marocco è stato suggellato dal ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, che ha elogiato la lunga amicizia con gli Usa con parole che hanno espresso sentimenti di fratellanza, condivisi da Mark Esper.

Esper ha affermato che è fondamentale “l’importanza di un esercito apolitico”, tale dichiarazione è stata pronunciata prima dell’annuncio che si sarebbe recato anche in Algeria, dove da quasi due anni si sta consumando una protesta popolare senza precedenti. Il movimento di protesta Hirak, ostacolato dall’arrivo del coronavirus a marzo, sta opponendosi ad un percorso politico che sta a fatica trovando il “suo equilibrio” con il presidente Abdelmadjid Tebboune.

Dal 2015 la “Sentinella d’Europa” è considerata da Washington come un’importante alleato nella regione dove rappresenta un riservato, ma determinante sostegno al “dossier libico”. Gli Stati Uniti, che avevano fornito supporto aereo alla coalizione Nato per abbattere Muammar Gheddafi nel 2011, si sono poi ritirati, limitandosi prevalentemente agli attacchi contro le milizie jihadiste e ad un controllato appoggio all’ex agente Cia il maresciallo cirenaico Khalifa Haftar.

Oggi il palcoscenico delle geostrategie occidentali è l’Africa ed il Vicino Oriente e davanti alle sfide strategiche della regione, gli Stati Uniti vedono gli “amici” del Maghreb come i principali alleati nell’area. Gli Stati Uniti si stanno consolidando nel Nord Africa, mentre i programmi del presidente Donald Trump sembravano presagire la cancellazione degli interessi nell’area; sarà un segno politico per il futuro degli Stati Uniti? Comunque è un segno chiaro per l’Europa e stimola l’ennesima riflessione sulla scadente politica estera italiana che al massimo si impantana con i barconi carichi di migranti clandestini tunisini.

 

Aggiornato il 05 ottobre 2020 alle ore 10:57