Libia: le Nazioni Unite annunciano la ripresa dei negoziati

Dopo l’ulteriore impegno turco a fianco di Fayez al-Sarraj e la reazione russa con la mai confermata fornitura di una decina di Mig all’aviazione di Khalifa Haftar, i libici sono ancora esclusi dal decidere del loro destino.

Quando il popolo libico fa considerazioni sull’evoluzione dei combattimenti sul proprio territorio, sembra che le loro valutazioni non siano altro che constatazioni da spettatori senza la minima capacità di poter intervenire. L’accresciuto recente impegno di Mosca nello scenario libico è l’ultimo segnale che questo conflitto, aperto nel 2014 tra il maresciallo Khalifa Haftar e le squadre rivoluzionarie della Libia occidentale, va ben oltre i due clan autoctoni.

Come scritto in un mio recente articolo, l’obiettivo di Vladimir Putin di intervenire pesantemente con il rafforzamento dell’aviazione della Cirenaica, più che infliggere colpi mortali all’esercito di al-Sarraj supportato dalle milizie mercenarie siriane filo-turche, era quello di frenare le ambizioni sultaniali di Recep Tayyip Erdoğan in Libia; e così è accaduto visto che da poche ore l’Esercito Nazionale Libico (Anl) di Haftar ed il Governo di Accordo Nazionale (Gna) al potere a Tripoli, hanno deciso di riprendere le trattative per un cessate il fuoco.

La rappresentanza delle Nazioni Unite in Libia lunedì sera ha comunicato di avere avuto l’autorizzazione, dalle parti contendenti, di coordinare i nuovi negoziati, proponendo un “tavolo di trattative” composto da cinque rappresentanti per fazione, nel quale sono coinvolti i loro più alti quadri con capacità decisionali.

Contrariamente a quanto dichiarato dalla stampa di parte turca e tripolina, fonti dell’Esercito della Cirenaica, che controlla la parte orientale del Paese ed è sostenuto ufficialmente dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Russia e dall’Egitto, affermano che lunedì hanno nuovamente recuperato il terreno perso intorno a Tripoli nelle settimane scorse, respingendo le forze fedeli ad al-Sarraj nell’area più ristretta vicino a Tripoli. Va ricordato che solo nel 2020 sono stati concordati due cessate il fuoco, compreso l’inutile vertice di Berlino e proprio a causa della loro totale inefficacia ed inosservanza, il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamé, si è dimesso a marzo, lasciando un vuoto istituzionale che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha ancora colmato non avendo designato il suo successore, il che non agevola né gli sforzi, né la credibilità, in questo caso, dell’organizzazione stessa.

Nonostante gli sforzi di voler mettere sotto un unico “cappello internazionale” le operazioni diplomatiche, i “battitori liberi” non si esimono dal non attivarsi, come la Francia che tramite il capo della sua diplomazia, Jean-Yves Le Drian, ha organizzato, domenica, un incontro con il capo del governo libico, Fayez al-Sarraj.

La ormai ripetitiva discussione si è incentrata sulla necessità di operare per una rapida cessazione delle ostilità, per rilanciare il processo politico nel perimetro stabilito dalla conferenza di Berlino all’inizio di quest’anno e soprattutto porre fine alle interferenze straniere.

Osservando le singole trasversalità diplomatiche in linea di massima poco utili a livello internazionale ma molto a livello nazionale, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron si è incontrato martedì 2 giugno con il suo omologo algerino Abdelmadjid Tebboune per fare il punto della crisi causata dal coronavirus, ma soprattutto sulla situazione in Libia e nel Sahel. Una nota ufficiale dell’Eliseo ha comunicato che i due presidenti hanno fatto il quadro sulla situazione creata dal Covid-19, hanno espresso preoccupazione per quanto sta accadendo in Libia e nel Sahel, dichiarando la completa sintonia e disponibilità a collaborare per la stabilità e la sicurezza nella regione; hanno anche concordato di lavorare per un ambizioso rilancio della cooperazione bilaterale in tutti i campi, non rendendo pubblici i dettagli. Tuttavia, l’incontro franco-algerino ha avuto motivazioni più ampie: proprio la settimana scorsa la televisione francese aveva trasmesso un documentario sul movimento anti-regime algerino Hirak, che aveva sollevato pesanti proteste del Governo di Algeri, a tal punto da coinvolgere anche l’ambasciatore algerino a Parigi. Sempre nel ricordo del colonialismo, Algeri ha visto nel documentario una sorta di cabala con una vena “neocolonialista” orchestrata da Parigi, smentita subito dopo dalla Francia che ha posto le condizioni per allargare la discussione su progetti comuni anche e principalmente sulla Libia.

Aggiornato il 05 giugno 2020 alle ore 10:56