Virus: la campagna d’intimidazione mondiale della Cina

L’Unione europea ha ceduto alle pressioni della Cina e ha edulcorato un rapporto sui tentativi cinesi di scaricare la colpa della pandemia di coronavirus. Secondo quanto riferito, i funzionari di Pechino avrebbero minacciato di bloccare l’esportazione di forniture mediche in Europa, se il rapporto fosse stato pubblicato nella sua forma originale.

Queste rivelazioni arrivano mentre il corpo diplomatico cinese conduce a livello mondiale una aggressiva campagna di disinformazione – una diplomazia del “lupo guerriero”, che prende il nome da una serie di film d’azione patriottici cinesi – finalizzata a imporre la sua narrazione sulle origini del coronavirus. Gli inviati cinesi sono stati particolarmente aggressivi su Twitter, attaccando, intimidendo e mettendo a tacere i giornalisti, i legislatori e gli studiosi dei think tank occidentali – così come chiunque contraddica la versione ufficiale cinese degli eventi.

Secondo l’agenzia di stampa Reuters, nel corso dell’ultimo anno, più di 60 tra diplomatici e missioni diplomatiche hanno creato account Twitter o Facebook, anche se entrambe le piattaforme sono state bandite in Cina, e li hanno utilizzati per attaccare le critiche mosse a Pechino in tutto il mondo.

Il 21 aprile, la pubblicazione Politico Europe con sede a Bruxelles ha riferito di avere ricevuto una copia in anteprima di un rapporto dell’Ue sulle attività di disinformazione di Cina e Russia riguardo al coronavirus. Il report, che l’Unione europea avrebbe pubblicato lo stesso giorno, includeva il seguente paragrafo: “La Cina ha continuato a condurre una campagna di disinformazione globale per sfuggire alle sue responsabilità in merito alla pandemia e per migliorare la sua immagine internazionale. Sono state osservate tattiche manifeste e segrete”.

I funzionari cinesi hanno tempestivamente contattato i rappresentanti dell’Unione europea a Pechino per cercare di insabbiare il rapporto, secondo quanto riportato dal New York Times, che ha anche ricevuto una versione originale del report.

Il 24 aprile, il Servizio europeo per l’azione esterna dell’Ue ha infine pubblicato il rapporto – Covid-19 Disinformation – ma i toni nei confronti della Cina sono stati fortemente attenuati. Il New York Times ha spiegato: “Il rapporto originale metteva in luce gli sforzi di Pechino per arginare ogni riferimento alle origini cinesi del virus, così come i tentativi di accusare gli Stati Uniti di avere diffuso l’epidemia a livello internazionale. Il report osservava che Pechino aveva criticato la Francia per avere reagito con lentezza alla pandemia e aveva mosso false accuse contro i politici francesi tacciandoli di avere proferito insulti razzisti contro il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità… Ma la Cina si è mossa rapidamente per bloccare la pubblicazione del documento e l’Unione europea l’ha ritirato. Il report stava per essere pubblicato, quando alti funzionari hanno ordinato di procedere a una revisione del testo edulcorandolo... La frase sulla campagna di ‘disinformazione globale’ è stata rimossa, così come qualsiasi menzione della disputa tra Cina e Francia. E anche altre frasi sono state smussate”.

Su pressione dei funzionari cinesi, Esther Osorio, consigliere dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, è intervenuta personalmente per ritardare la pubblicazione del rapporto iniziale. Il New York Times ha scritto: “La signora Osorio, collaboratrice del signor Borrell, ha chiesto agli analisti di revisionare il documento concentrandosi in modo meno esplicito sulla Cina e sulla Russia per evitare accuse di parzialità, come mostrato da un’e-mail e da alcune interviste. La signora Osorio ha chiesto agli analisti di distinguere tra condurre un’azione di disinformazione e promuovere aggressivamente una narrazione, e di documentare ogni elemento ‘dal momento che già assistiamo a forti obiezioni da parte della CN’ – un’abbreviazione che sta a indicare la Cina”.

Presumibilmente, l’Unione europea sperava di ottenere un trattamento migliore per le aziende europee operanti in Cina. Il 25 aprile, tuttavia, il South China Morning Post, che disponeva di una copia del rapporto originale, ha rivelato che Pechino aveva minacciato di bloccare l’esportazione in Europa delle forniture mediche se il capitolo sulla Cina non fosse stato rimosso.

L’analista geopolitico indiano Brahma Chellaney ha sintetizzato come segue le implicazioni più ampie delle azioni dell’Unione europea: “L’Ue autocensura il suo rapporto dopo le pressioni esercitate dalla Cina. Edulcorando il suo report, l’Unione europea ha rimosso i riferimenti alla campagna di disinformazione ‘legata alla pandemia della Cina’. L’Ue rimane l’anello debole nella costruzione di un concerto di democrazie contro l’autoritarismo muscolare della Cina”.

Al contempo, i diplomatici cinesi ovunque nel mondo, guidati dal ministro degli Affari Esteri, Wang Yi, si sono scagliati contro i governi e contro coloro che, a loro dire, avevano offeso la Cina. Alcuni analisti affermano che questo comportamento è la conseguenza della crescente influenza di Pechino negli affari internazionali. “La Cina vuole che gli altri Paesi sappiano chi è il capo”, ha scritto la sinologa Bethany Allen-Ebrahimian.

Altri analisti sostengono che l’intransigenza della Cina è piuttosto un segno della fragilità del Partito comunista cinese e che il presidente cinese Xi Jinping alimenta il nazionalismo per consolidare il suo controllo tra la crescente rabbia domestica per la sua cattiva gestione della crisi del coronavirus. “Tutti i governi si preoccupano di come sopravvivranno a questa epidemia, ma per un governo autoritario a partito unico, i timori sono esistenziali”, ha osservato Kevin Libin, editorialista e caporedattore del National Post (Canada).

Ad ogni modo, in alcuni casi, le pressioni cinesi hanno funzionato – anche con l’Unione europea e con le Filippine. Con altri, il bullismo cinese si è rivelato totalmente controproducente.

Il 15 aprile, Bild, il quotidiano più letto della Germania, ha pubblicato un articolo titolato “Ciò che la Cina ci deve finora”, pezzo che stima in 150 miliardi di euro l’ammontare della somma dovuta alla nazione tedesca da Pechino per i danni causati dalla pandemia di coronavirus. L’articolo elenca l’insieme dei danni economici subiti dalla Germania, tra cui 50 miliardi di euro di perdite per le piccole imprese e 24 miliardi di euro per mancati guadagni per il settore turistico.

L’ambasciata cinese a Berlino ha risposto accusando Bild di razzismo. In una lettera, il portavoce dell’ambasciata Tao Lili ha scritto: “Non solo il vostro articolo non contiene fatti essenziali e una cronologia precisa, ma manca anche di un minimo di rigore giornalistico e di etica. Coloro che si comportano come voi alimentano il nazionalismo, i pregiudizi, la xenofobia e l’animosità nei confronti della Cina. Il vostro articolo non rende giustizia all’amicizia tradizionale tra i nostri due popoli e non contribuisce a una seria comprensione del giornalismo. Alla luce di ciò, mi chiedo da dove provenga l’avversione che sembra regnare nella vostra redazione verso la nostra popolazione e il nostro Stato”.

Senza lasciarsi intimidire, Julian Reichelt, direttore della Bild, ha replicato con una lettera aperta pubblicata in tedesco e in inglese, titolata “Lei mette in pericolo il mondo intero” e indirizzata al presidente cinese Xi Jinping. Reichelt ha scritto: “Lei governa con la sorveglianza e il controllo. Lei non sarebbe presidente senza la sorveglianza. Lei controlla qualunque cosa faccia qualunque cittadino, ma si rifiuta di monitorare i mercati umidi infetti del Paese. Ha fatto chiudere tutti i giornali e siti internet che si sono mostrati critici rispetto al suo operato, ma non le bancarelle dove vengono vendute le zuppe al pipistrello. Lei non controlla solo i suoi cittadini, ma li mette in pericolo, e con loro, il resto del mondo. La sorveglianza è una violazione della libertà. E una nazione che non è libera non può essere creativa, e una nazione che non è innovativa, non inventa nulla. Ecco perché ha trasformato la Cina nel più grande esperto di furto di proprietà intellettuale. La Cina si arricchisce con le invenzioni degli altri, invece che con le sue invenzioni. La ragione per cui in Cina non si inventa e non si innova, è perché non permettete ai giovani del vostro Paese di pensare liberamente. La cosa più grande che avete esportato (e che comunque nessuno voleva) è il coronavirus. Ha creato una Cina impenetrabile, non trasparente. Prima del Covid-19, la Cina era conosciuta come uno Stato sorvegliante, ora è uno Stato sorvegliante che ha infettato il mondo con una malattia mortale. Questa è la sua eredità politica. La sua ambasciata dice che non sono all’altezza della ‘tradizionale amicizia’ fra i nostri popoli. Immagino che considera una grande ‘amicizia’, quella in cui manda mascherine in giro per il mondo. Questa non è ‘amicizia’, la definirei imperialismo nascosto dietro un sorriso, un cavallo di Troia. Pianifica di rafforzare la Cina grazie a una malattia che ha esportato. Non ci riuscirà: il coronavirus prima o poi sarà la sua fine politica”.

Qui di seguito, ecco altri recenti esempi degli sforzi compiuti dai diplomatici cinesi per intimidire e mettere a tacere coloro che all’estero sfidano il governo cinese.

Australia

Il 23 aprile, il primo ministro australiano Scott Morrison ha esortato tutti i Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ad aprire un’inchiesta indipendente sulla pandemia di coronavirus. Il premier ha affermato che tutti i membri dell’Oms dovrebbero essere obbligati a partecipare a tale inchiesta e che l’Australia caldeggerà questo proposito durante l’Assemblea generale dei Paesi membri dell’Oms che si terrà il prossimo 17 maggio.

Il portavoce del ministero cinese degli Affari Esteri, Geng Shuang, ha replicato: “La cosiddetta inchiesta indipendente proposta dall’Australia è in realtà una manipolazione politica. Consigliamo all’Australia di rinunciare ai suoi pregiudizi ideologici”.

Brasile

Poco dopo che Eduardo Bolsonaro, figlio del presidente del Brasile Jair Bolsonaro, aveva accusato la “dittatura cinese” di essere all’origine della pandemia di coronavirus, l’ambasciatore cinese in Brasile, Yang Wanming, ha postato un tweet (in seguito rimosso), definendo la famiglia del presidente Bolsonaro “un grande veleno”. Il ministro brasiliano degli Affari Esteri, Ernesto Araújo ha condannato pubblicamente il tweet affermando che il comportamento dell’ambasciatore è stato inappropriato.

Canada

Il 19 aprile, l’ambasciata cinese a Ottawa ha stigmatizzato il Macdonald-Laurier Institute (Mli), un eminente think tank canadese, che aveva pubblicato una lettera aperta accusando le autorità cinesi di aver insabbiato la pandemia. L’ambasciata cinese ha scritto: “Di recente, il Macdonald-Laurier Institute ha pubblicato una cosiddetta lettera aperta che accusa a torto la Cina di avere nascosto l’origine della pandemia, che diffama e attacca il Partito comunista cinese e il governo cinese, e che interferisce gravemente negli affari interni della Cina. La parte cinese esprime la sua ferma opposizione a tali azioni da parte del Mli. (...) Esortiamo il Macdonald-Laurier Instite ad agire conformemente all’etica professionale, a concentrarsi sul lavoro che un think tank dovrebbe fare, ad astenersi dal politicizzare il lavoro di ricerca e al desistere dal proferire assurdità contro la Cina”.

Uno studioso del Mli, Kaveh Shahrooz, ha twittato: “L’ambasciata cinese in Canada ha attaccato pubblicamente il @MLInstitute, dove ricopro il ruolo di senior fellow. Siamo una spina nel fianco di governi come quelli di Cina, Iran e Russia. E io ne sono molto orgoglioso”.

Un altro studioso, Shuvaloy Majumdar, ha twittato: “Vorrei congratularmi con l’ambasciata della Rpc a Ottawa per avere contribuito ad attirare maggiormente l’attenzione sull’intimidazione che il Partito comunista esercita e sui suoi continui abusi all’estero”.

Il governo canadese è rimasto in silenzio a riguardo. Charles Burton, senior fellow del Mli, ha dichiarato che il silenzio di Ottawa incoraggerà Pechino a moltiplicare i suoi tentativi di reprimere la libertà di espressione in Canada: “Ci si sarebbe aspettati che il governo del Canada avesse contattato l’ambasciata cinese in merito a tale dichiarazione. Si tratta di un chiaro tentativo di interferire con la libertà di espressione di un think tank canadese e di muovergli accuse che sono assolutamente prive di fondamento”.

Il 19 aprile, il premier della provincia dell’Alberta Jason Kenney ha twittato: “Sono sconcertato nell’apprendere che il mio amico di lunga data Martin Lee, fondatore del Partito democratico di Hong Kong, è stato arrestato oggi insieme ad altri cittadini tra i più eminenti di #HongKong. Martin è il leader carismatico della democrazia di Hong Kong. Spero che sarà immediatamente liberato”.

Il consolato generale cinese a Calgary ha così risposto: “Il premier della provincia dell’Alberta ha commentato su Twitter l’arresto legittimo di un rivoltoso anti-cinese da parte della polizia di Hong Kong. Nessuno può agire al di fuori della legge. Ignorare i fatti e sostenere apertamente i rivoltosi non può che minare lo Stato di diritto, che non è nell’interesse del Canada. Esortiamo i politici locali a osservare le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali, a rispettare l’applicazione delle leggi imposte da parte della Ras (Regione Amministrativa Speciale) di Hong Kong e a smettere immediatamente di interferire negli affari interni della Cina”.

Kenney ha replicato: “Riconosco che la provincia dell’Alberta non ha una politica estera e io non sono un libero professionista della politica estera, ma dirò solo questo: quando uno dei miei amici viene arrestato e diventa un prigioniero politico, io non posso, in tutta coscienza, rimanere in silenzio”.

Quando la Cina riacquistò la sovranità su Hong Kong dalla Gran Bretagna, nel 1997, Pechino concesse a Hong Kong uno statuto d’autonomia per godere della sua libertà fino al 2047, secondo il principio “un Paese, due sistemi”.

Il 14 aprile, The Globe and Mail, il quotidiano più letto del Canada, ha pubblicato un articolo d’opinione titolato “La cultura di corruzione e di repressione del Partito comunista cinese ha distrutto vite nel mondo intero”. L’articolo accusava il Partito comunista cinese di insabbiare, distruggere, falsificare, inventare, sopprimere e travisare informazioni sull’epidemia; di mettere a tacere e di criminalizzare la dissidenza; e di avere fatto sparire i whistleblower, “tutti atti che riflettono la portata della criminalità e della corruzione nel partito”. L’articolo esortava la comunità internazionale a ritenere le autorità cinesi responsabili di “una delle più grandi crisi umanitarie della storia”.

L’ambasciata cinese a Ottawa ha risposto che l’articolo era “pieno di odio e di pregiudizi” contro il Partito comunista cinese (Pcc): “Come si può parlare di qualcosa come la responsabilità? Il ‘virus politico’ della stigmatizzazione è più pericoloso della malattia stessa. Coloro che cercano di attribuire al Pcc una pseudo ‘criminalità’ manifestano pregiudizi ideologici e la ‘motivazione politica’ che si cela dietro è discutibile. Queste persone farebbero meglio a concentrarsi sulla prevenzione e sul controllo dell’epidemia sul loro territorio. Scaricare le responsabilità non aiuterà a mitigare l’epidemia nei loro Paesi, né contribuirà a una migliore cooperazione internazionale in materia di prevenzione e di controllo della pandemia”.

Il 1° aprile, The Globe and Mail ha pubblicato un articolo d’opinione titolato, “Perché dovremmo fidarci delle cifre ufficiali della Cina riguardo al Covid-19?”. L’autore si è chiesto: “Il primo impulso del governo cinese è sempre stato quello di nascondere i fatti, soprattutto se essi rivelano i suoi fallimenti, perché qualcuno dovrebbe ora credere ai dati diffusi dalla Cina sul Covid-19? (...) Il governo comunista cinese deve la sua stessa legittimità al fatto di avere convinto i cittadini cinesi che ha fatto meglio delle amministrazioni elette democraticamente nel proteggere i loro interessi. A tal fine, ha sempre gonfiato a lungo le statistiche sulla crescita dell’economia e ha sottostimato le emissioni di gas serra. Perché qualcuno dovrebbe aspettarsi che sia onesto sulla sua stessa epidemia di coronavirus?”.

L’ambasciata cinese a Ottawa ha replicato: “L’articolo afferma che gli Stati Uniti sono uno Stato democratico e che la Cina è un Paese guidato da un governo comunista, per giungere alla ridicola conclusione che i dati degli Stati Uniti sono più trasparenti di quelli della Cina. (...) Si tratta di un mero approccio dei due pesi e due misure. Esortiamo The Globe and Mail ad abbandonare i pregiudizi, a rispettare i fatti e a smettere di fare osservazioni irresponsabili contro gli sforzi compiuti dalla Cina nella lotta contro il Covid-19”.

Filippine

Il 29 marzo, il Dipartimento della Salute si è scusato per i commenti espressi il giorno prima riguardo al fatto che due lotti di kit di test forniti dalla Cina si sono rivelati inferiori agli standard di sicurezza. Il sottosegretario alla Salute Maria Rosario Vergeire aveva dichiarato che i kit prodotti dalle aziende cinesi BGI Group e Sansure Biotech avevano un tasso di accuratezza del 40 per cento e che alcuni di essi avrebbe dovuto essere gettati via. L’ambasciata cinese a Manila ha twittato: “L’ambasciata cinese respinge fermamente qualsiasi commento irresponsabile e ogni tentativo di minare la nostra cooperazione in questo senso”.

Francia

Il 14 aprile, il ministro francese degli Affari Esteri, Jean-Yves Le Drian ha convocato l’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, per esprimere il suo disappunto in merito a certe osservazioni recenti da parte dei rappresentanti cinesi in Francia riguardanti la pandemia di coronavirus. “Alcune dichiarazioni pubbliche rilasciate da rappresentanti dell’ambasciata cinese in Francia non sono conformi alla qualità delle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi”, ha affermato il ministro francese.

In una serie di recenti dichiarazioni rese ai media, Lu Shaye ha accusato “una certa stampa francese” di aver infangato l’immagine della Cina con “menzogne” sulla sua responsabilità nell’attuale pandemia. Questi media – che Lu non ha mai nominato, ma che, a suo dire, sembrano rappresentare l’intera stampa francese – hanno “schernito la Cina” in violazione di “tutta l’etica mediatica e della più elementare buona fede”, con un approccio che, nelle parole di Lu, “rasenta la paranoia”.

Il 15 marzo, sul canale televisivo via cavo Mandarin Tv, Lu ha accusato i media di utilizzare metodi di “propaganda” per “fare il lavaggio del cervello” al grande pubblico. In dichiarazioni postate sul sito web dell’ambasciata il 14 e il 29 febbraio, Lu ha condannato gli “irresponsabili” commenti e le “assurdità” dette dai media francesi sulla Cina.

Il segretario generale di Reporters sans frontières (Rsf), Christophe Deloire ha dichiarato: “Questa ‘lezione di giornalismo’ alla stampa francese è inappropriata da parte di un rappresentante della Repubblica popolare cinese, un Paese che si colloca al 177° posto su 180 Paesi nell’Indice sulla Libertà di Stampa di Rsf ed è una delle più grandi prigioni al mondo per i giornalisti. La censura imposta da Pechino ai media cinesi ha avuto un impatto molto negativo ritardando la risposta del regime all’inizio dell’epidemia di coronavirus”.

Rsf ha aggiunto in un comunicato stampa: “Le dichiarazioni rilasciate dall’ambasciatore riflettono una politica concertata ai massimi livelli del governo cinese per controllare l’informazione all’esterno dei confini del Paese, come Reporters sans frontières ha dimostrato in un rapporto realizzato nel 2019 e intitolato ‘La ricerca della Cina di un nuovo ordine mediatico mondiale’“.

Germania

Il 12 aprile, il quotidiano Welt am Sonntag ha riportato di avere ricevuto dei documenti trapelati dal ministero tedesco degli Affari Esteri, che rivelavano che i funzionari cinesi avevano contattato direttamente funzionari e impiegati di più ministeri federali chiedendo loro di “esprimersi positivamente” sulla gestione cinese della crisi del coronavirus. I funzionari cinesi hanno altresì “coinvolto i decisori politici, compresi i lobbisti” per utilizzarli allo scopo di “promuovere i programmi politici del Partito comunista cinese”. L’ambasciata cinese a Berlino ha risposto accusando Welt am Sonntag di essere “intenzionato a calunniare e a diffamare” la Cina. “Occorre fermare ogni tipo di stigmatizzazione nei confronti della Cina”.

India

L’ambasciatore cinese in India, Ji Rong, si è ripetutamente scagliato contro funzionari e media indiani. Il 18 aprile, Rong ha twittato: “La cosiddetta denuncia di alcune organizzazioni indiane all’Unhrc per chiedere alla Cina di compensare le perdite causate dal # COVID19 è una ridicola e ovvia assurdità. In questo momento difficile, dobbiamo lavorare insieme invece di stigmatizzare gli altri e scaricare la colpa”.

Il 10 aprile, Ji ha twittato: “È deplorevole che alcuni media indiani abbiano pubblicato articoli che fanno ancora riferimento al #COVID19 come il ‘virus di Wuhan’. È chiaro il consenso esistente in seno alla comunità internazionale che un virus non deve essere legato a un Paese, a una regione o a un gruppo etnico preciso. Tale stigmatizzazione è inaccettabile”.

Svezia

Il 18 gennaio, il ministro svedese degli Affari Esteri Ann Linde ha convocato l’ambasciatore cinese in Svezia, Gui Congyou, che aveva paragonato la stampa svedese a un pugile peso paglia che intende sfidare un peso massimo. Congyou, celebre per i suoi attacchi diretti, ha dichiarato all’emittente televisiva pubblica svedese Svt che i “frequenti attacchi feroci contro il Partito comunista cinese e contro il governo cinese da parte di certi media svedesi” erano paragonabili a quelli di un pugile peso paglia di 48 kg che provoca un avversario di quasi due volte il suo peso: “Il pugile di 86 kg, per proteggere il suo avversario peso paglia, gli consiglia di lasciar perdere e di pensare ai fatti suoi, ma quest’ultimo non lo ascolta e fa irruzione nella casa del peso massimo. Quale deve essere la reazione del peso massimo?”.

Utgivarna, un’associazione che difende gli interessi dei media svedesi privati e pubblici, in una nota ha affermato: “Ancora una volta, l’ambasciatore cinese Gui Congyou ha cercato di minare la libertà di stampa e la libertà di espressione, che in Svezia sono tutelate dalla Costituzione, con false dichiarazioni e minacce. È inaccettabile che la più grande dittatura al mondo stia cercando di imbavagliare un giornalismo libero e indipendente in una democrazia come la Svezia. Questi attacchi ripetuti devono cessare immediatamente”.

Venezuela

Il 18 marzo, l’ambasciata cinese in Venezuela ha postato una furiosa “dichiarazione” composta da 17 tweet, dopo che non identificati parlamentari venezuelani avevano fatto riferimento al Covid-19 definendolo “il coronavirus cinese” o il “coronavirus di Wuhan”. L’ambasciata della Cina ha affermato che i parlamentari venezuelani sono stati colpiti da un “virus politico” e ha raccomandato loro di “farsi curare”. Per prima cosa, ha twittato che farebbero meglio a “indossare una mascherina e tacere”.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 14 maggio 2020 alle ore 11:58