L’apertura di una nuova libreria non dovrebbe fare notizia, fatta eccezione per il periodo economico complicato che rende qualsiasi investimento una specie di azzardo. Ma siamo nella città di Taipei, sull’Isola di Taiwan, e qui il Covid-19 è stato tenuto sotto controllo per cui anche la news di un investimento in periodi di crisi nera non dovrebbe far tanto rumore. E allora perché l’apertura in data 25 aprile di una libreria al decimo piano di un anonimo palazzone zeppo di uffici nel distretto di Zhongshan ha suscitato tanto scalpore? La risposta ha a che fare con il nome del proprietario: Lam Wing-kee. Per capire chi è Lam, bisogna volare nella vicina Hong Kong e fare un salto indietro nel tempo all’ottobre del 2015. I cinque gestori della libreria Causeway Bay spariscono nel giro di un paio di mesi. Gui Minhai viene visto per l’ultima volta il 17 ottobre a Pattaya, in Thailandia, dove possiede un appartamento. Lui Por e Cheung Chi Ping svaniscono mentre si trovano in territorio cinese e lo stesso accade con Lam Wing-kee proprietario e manager della libreria per vent’anni.
Solo con la sparizione del quinto elemento a dicembre, Lee Boo, ci si accorge della gravità dei fatti. Per una semplice ragione, Lee Boo è l’unico ad essere stato prelevato mentre si trovava ad Hong Kong. La Causeway Bay è stata per anni il luogo in cui si poteva trovare materiale non conforme alle linee guida del Partito comunista cinese, proibito in Cina ma legale ad Hong Kong. Critiche al partito, gossip riguardanti le alte sfere del Partito comunista cinese, libri di storia non allineati con il pensiero unico cinese. Un titolo che andava per la maggiore e che rende l’idea di quanto fastidioso fosse agli occhi di Pechino il materiale in vendita sugli scaffali della Causeway Bay, era: “Xi Jinping e le sue amanti”. Che ci siano le autorità cinesi dietro le sparizioni appare evidente e le proteste ad Hong Kong non tardano ad arrivare. Per due mesi i cinque hanno contatti sporadici e confusi con le proprie famiglie che vengono assicurate dagli stessi sul loro stato di salute.
Riappaiono tra febbraio e marzo del 2016, tra ammissioni di reati in interviste organizzate dalle autorità cinesi (il caso Gui Minhai è il più eclatante in quanto nella stessa intervista appare con i capelli di una lunghezza diversa, magliette di colore diverso e ripetute occhiate verso la telecamera dopo ogni frase pronunciata che danno la netta impressione che stia leggendo un copione) e confessioni in merito al fatto di aver “pubblicato troppo”. Lam Wing-kee torna ad Hong Kong nel giugno del 2016 provato dagli interrogatori cinesi e conscio del fatto che Pechino può allungare le mani su chiunque sia intenzionato a diffondere materiale controverso. Nel giugno del 2018 avviene il primo tentativo di tornare nel business dei libri sull’Isola di Taiwan. Le cose non vanno per il verso giusto perché i suoi soci si ritirano dopo che la moglie di un investitore di Hong Kong, con attività industriali in Cina, riceve minacce non troppo velate.
Quando a febbraio del 2019 ad Hong Kong si inizia a discutere della proposta di legge di estradizione che avrebbe di fatto rischiato di consegnare ai tribunali controllati dal Partito comunista cinese anche i cittadini di Hong Kong, infrangendo i confini tra i sistemi legali-giuridici dei due paesi, Lam prende la decisione di lasciare Hong Kong. Ad aprile del 2019 è giunto a Taipei e tra settembre e novembre, grazie ad una poderosa raccolta fondi ha raccolto circa 200mila dollari che ha usato per aprire la nuova libreria che, come era lecito, attendersi, ha lo stesso nome di quella che aveva gestito per anni ad Hong Kong. Un Lam Wing-kee radioso ha invitato i suoi concittadini che hanno a che fare con l’oppressione di Pechino a raggiungere Taiwan “ultimo bastione contro l’oppressione cinese e unirsi alla resistenza dall’esterno”. Sugli scaffali, presi d’assedio nel giorno dell’inaugurazione, titoli di vario genere da Akira Kurosawa e Søren Kierkegaard passando per gli affari internazionali e pure una sezione per bambini.
Ed ovviamente, in linea con le vecchie scelte commerciali, una vasta scelta di titoli invisi a Pechino: Dalai Lama, la repressione degli uiguri nella regione dello Xinjiang, le proteste ad Hong Kong e le opache manovre di sistema interne al Partito comunista cinese. Tra i presenti all’apertura si sono notati Yu Shyi-kun, capo del parlamento di Taiwan e Luo Wen-jia, segretario generale del Partito democratico progressista al governo oltre a diversi giovani provenienti anche da fuori Taipei. Va detto che nei giorni che hanno preceduto l’inaugurazione non tutto è andato per il verso giusto. Il 20 aprile Lam è stato vittima di un attacco da parte di simpatizzanti del Pcc (Partito comunista cinese) mentre stava sorseggiando un caffè in un bar. Un bagno di pittura rossa ma nessun danno fisico. Tre sospettati sono stati arrestati il giorno seguente, giorno in cui su Facebook è apparsa una minaccia di morte scritta da un utente appartenente a gruppi con legami pro-Pechino. Lam ha ammesso che prima di questi due eventi non ha mai ricevuto nessun tipo di minaccia, ma alla luce di quanto accaduto chiede alle autorità di gestire la situazione con attenzione.
“Leggo sui giornali che i giudici sono stati cauti con i sospetti, visto che sono stati rilasciati su cauzione pagando alcune migliaia di dollari di Taiwan,” ha detto Lam. “Non si rischia di incoraggiare a compiere simili attacchi?”. “I giudici hanno affermato di aver considerato i diritti umani dei sospettati ma le vittime che sono state ferite nell’assalto? Dovrebbero proteggere anche i loro di diritti umani”, ha aggiunto. “Queste persone probabilmente hanno ricevuto denaro dalla Cina”, accusa Lam. “Se i giudici continuano ad emettere verdetti cosi leggeri, allora inizierò a temere per la mia sicurezza, preoccupandomi che le stesse persone possano venire a cercarmi un’altra volta”.
Aggiornato il 07 maggio 2020 alle ore 11:40