La “guerra sporca” in Nigeria

Molto spesso la “cura” e peggiore della “malattia”; la Nigeria rappresenta un esempio di tale definizione, soprattutto in questi ultimi tempi. Tradizionalmente la “produzione informativa antiterroristica” demarca semplicisticamente i ruoli: da una parte i malvagi, i terroristi, e dall’altra coloro che difendono le vittime dei primi. Nella vasta aerea del Sahara-Sahel, generalmente, il “messaggio” che viene trasmesso dai media si focalizza sulle atrocità commesse dai ribelli e dai terroristi, “sorvolando” sulle efferatezze perpetrate dai gruppi che rappresentano la “faccia legale” dei governi e che sarebbero delegati a difendere i civili. In questi ultimi tempi, celate dalle informazioni destinate alla massa, quelle che vengono identificate come forze di sicurezza ed i loro miliziani ausiliari, assoldati tra la popolazione civile, stanno uccidendo più persone di quanto, con grande impegno, fa il gruppo terroristico salafita denominato Boko Haram (traducibile come: l’educazione occidentale è vietata). Cosi la martoriata popolazione nigeriana e non solo, disseminata tra la parte nord orientale della Nigeria, del Ciad, del Niger ed del Camerun, intorno al lago Ciad, si trova intrappolata tra le tenaglie composte delle forze di sicurezza e dai jihadisti, pagando il loro tributo di sangue e sofferenze, sia all’una che all’altra fazione.

Articoli della stampa locale, relazioni delle organizzazioni che difendono i diritti umani ed altre notizie rese pubbliche dai responsabili del progetto denominato Nigeria Watch (un articolato sistema cooperativo che ha sede nel campus dell’Università di Ibadan, gestito dall’Ifra-Nigeria, Istituto francese di ricerca in Africa, supportato dal Dfid, Dipartimento britannico per lo sviluppo internazionale, dal Nsrp, Programma di Stabilità e Riconciliazione per la Nigeria, ora sostenuto anche dal Japan International Cooperation Agency), hanno rivelato che le denominate milizie di autodifesa governative sono responsabili della morte di oltre il 55 per cento delle vittime identificate nei conflitti che si verificano nel Nord est nigeriano.

Da quando nel 2013 il Governo nigeriano ha autorizzato la creazioni di tali forze di difesa, come da molti previsto, la situazione di sicurezza dei cittadini è peggiorata, la causa principale è che spesso i civili sono sospettati sia dal gruppo jihadista di Boko Haram che dalle milizie filogovernative di collaborazionismo o con l’una o con l’altra parte; tale situazione di ambiguità, spesso voluta, rende fragili e vulnerabili le comunità, sovente organizzate con impostazione tribale, che vivono di minuto allevamento e “povera” agricoltura.

Infatti le comunità con all’interno i gruppi di “vigilanti” sono state attaccate da Boko Haram perché ritenute collaborazioniste con il governo; per contro le comunità che non si sono rese disponibili ad organizzare gruppi di vigilanza, probabilmente perché non necessario, sono state identificate dall’esercito e sottoposte a violenze e sommari processi, con esito letale, perché sospettati di sostenere i jihadisti, in particolar modo se risparmiati dalle violenze di Boko Haram.

Quello che si sta conclamando è un danno collaterale deliberato; le forze di sicurezza sono artefici di massacri, rappresaglie, esecuzioni extragiudiziali, maltrattamenti dei detenuti, inoltre l’aviazione nigeriana non risparmia, come è avvenuto nel passato recente, nemmeno i campi profughi come quello di Rann, al confine con il Camerun, nel quale utilizzò le micidiali bombe a grappolo Blg 66 Belouga, che in linea di principio sono vietate da convenzioni internazionali.

Quello che emerge da questa breve analisi è l’assoluta impunità delle forze di sicurezza, anche se dal 2017 le autorità hanno istituito una commissione speciale d’inchiesta che avrebbe dovuto indagare sugli abusi dell’esercito e che, in pratica, è servita a perpetuare l’impunità dei soldati, trasformando le accuse di violenze ed omicidio in violazioni dei diritti umani. Inoltre i testimoni, quindi le vittime, imprigionate, molte sono decedute a causa delle cattive condizioni della loro prolungata detenzione, in particolare nella famosa prigione degli “elefanti”, Giwa, a Maiduguri, città dove, nel 2002, è stato fondato la gruppo di Boko Haram, il cui artefice fu il predicatore Mohammed Yusuf.

Mai nessun “rapporto” è stato pubblicato; la commissione doveva assolvere i militari da qualsiasi arresto, tortura o esecuzione stragiudiziale arbitraria, tantomeno sono state raccolte prove o utilizzati i risultati dei patologi forensi, una manipolazione assoluta. Per perfezionare questa operazione risulta che l’esercito per affrancarsi dalle proprie responsabilità, ha la consuetudine di far firmare alle famiglie, che vogliono recuperare i corpi dei loro cari, un documento attestante che i familiari deceduti erano affiliati ai jihadisti.

Il governo resta sulla posizione che le forze di sicurezza uccidono solo i terroristi jihadisti; non prevede risarcimenti ai familiari delle vittime di abusi, tantomeno intende avviare indagini con lo scopo di identificare le fosse comuni e far eseguire autopsie per stabilire le responsabilità.

Ricordo che terminata la guerra del Biafra (1967-1970), il governo aveva optato di promuovere la riconciliazione e la ricostruzione sorvolando sulla pubblicazione di un elenco delle persone uccise nel conflitto; ovunque, anche nei cimiteri, fu evitata la presenza di steli commemorativi allo scopo di cancellare le memorie del tragico passato. Tutto ciò ha permesso di elidere la “linea” dei crimini di guerra dell’esercito nigeriano; un modus operandi nuovamente applicato, utile a cancellare gli abusi della guerra contro il terrorismo jihadista, dove la maggior parte delle vittime sono civili.

Aggiornato il 27 aprile 2020 alle ore 12:08