Burkina Faso, continuano le uccisioni di massa

Il nord del Burkina Faso è flagellato da continue stragi che non hanno un solo “autore”. I movimenti jihadisti saheliani, nonostante l’operazione “Barkhane” (operazione anti-insurrezione che interessa il Sahel, iniziata nel 2014 e costituita da una forza francese di oltre 5mila soldati con sede a N’Djamena in Ciad), proseguono la loro “ordinaria” attività terroristica, causando giornalmente morte e disperazione a carico soprattutto dei civili; le forze di autodifesa, che in pratica sono dei gruppi armati che vagano sul territorio con pickup con mitragliatore e moto, molte fornite dalle organizzazioni internazionali di difesa, causano anch’essi uccisioni e drammi nella popolazione.

Una cinquantina di persone sono state uccise quattro giorni fa nella provincia di Yatenga; testimoni affermano che proprio i “gruppi di autodifesa” sono stati gli autori.

Secondo un rapporto del Governo provvisorio, pubblicato lunedì, risulta che sono stati colpiti tre villaggi nel comune di Barga, nella provincia di Yatenga, nel nord del Burkina Faso. La causa di questa ennesima strage “extra jihadista”, va ricercata nella lotta interetnica, infatti, dal rapporto del Governo risulta che i “koglweogo” (guardiani della boscaglia), sono entrati nei villaggi di Barga, Ramdola e Dinguila, con moto semitattiche in cerca di persone di etnia Fulani, sparando, uccidendo e bruciando le abitazioni. Lunedì, il portavoce del governo, Rémis Fulgance Dandjinou, ha dichiarato che: “Le forze di difesa e di sicurezza sono state immediatamente schierate sulla scena per proteggere i villaggi attaccati”.

Da quanto emerge dai rapporti della Polizia della provincia di Yatenga, i timori della popolazione, soprattutto di etnia Mossi, sono altissimi a causa delle possibili rappresaglie. Risulta che i Fulani siano scappati da tutta la zona; i koglweogo sono in questo momento i terroristi, non i jihadisti dell’Isgs (Stato islamico del Grande Sahara). E’prevedibile, che a breve, le rappresaglie dei Fulani si facciano sentire contro i “guardiani della boscaglia” e, nelle loro azioni di rivincita, saranno sicuramente supportati dai jihadisti, come sicuramente accadrà viste le trasversalità dei rapporti. Roch Marc Christian Kaboré, presidente del Burkina Faso (ex Alto Volta), ha condannato il vile attacco perpetrato domenica da uomini armati, dichiarandoli “non identificati”; ma tale affermazione ha suscitato forti proteste da parte del portavoce del “Collettivo contro le Impunità ed il Pregiudizio”, Daouda Diallo, che ha affermato: “I colpevoli sono stati chiaramente identificati dalle loro vittime, e sono i koglweogo! Queste milizie traggono beneficio dalla complicità delle autorità e agiscono impunemente”.

Il Burkina Faso è diventato il nuovo epicentro della crisi nel Sahel. L’ultimo rapporto dell’Ong Acled (Armed Conflict Location and Event Data Project), rivela che in Burkina Faso, nel 2019, si è verificato un aumento del 174 per cento del numero dei micro conflitti, con oltre 1400 civili uccisi. I Peuls o Fulani, sono ormai considerati “collaborazionisti” dei jihadisti, assumendo, quindi, una “fisionomia terroristica” con tutte le conseguenze.

Quindi, l’organizzazione dei gruppi armati di autodifesa dei koglweogo doveva essere la risposta all’incapacità delle autorità di fermare il ciclo della violenza. Fu proprio l’Assemblea Nazionale del Paese, a fine gennaio, ad emanare una legge che permettesse l’assunzione di “volontari per la difesa della patria”. L’obiettivo era di formare ed armare la popolazione, in modo da consentire una risposa armata immediata contro i gruppi jihadisti e terroristici vari. Tuttavia il Governo stenta a confermare questa pericolosissima scelta, ma come testimoniato anche sul quotidiano Le Monde Afrique, risulta che i soldati hanno armato ed addestrato i civili a combattere; inoltre una rete di informatori presenti nei villaggi, svela ai “gruppi di autodifesa”, la presenza di sospetti, che quando arrestati, come già avvenuto, risultano quasi tutti di etnia Fulani. Il direttore dell’Istituto Timbuktu, Centro Africano per gli Studi sulla Pace, Bakary Sambe, ha dichiarto che la “privatizzazione della sicurezza” creà molta preoccupazione, in quanto incrementa il livello della criminalità.

Nonostante che fonti militari francesi assicurino che l’annunciato dialogo a Bamako con i leader jihadisti si farà ed il Barkhane dichiari che nel Sahel vengono “annichiliti” un centinanio di terroristi al mese, questa micidiale “miscela” di guerriglie sta trasformando l’area subsahariana nell’epicentro di una crescente crisi umanitaria.

Aggiornato il 12 marzo 2020 alle ore 12:54