Libia: quale futuro per i migranti

Il ritorno del “buon mare” favorisce le improbabili imbarcazioni dei “migranti” presenti in Libia, a riprendere con maggiore intensità, i viaggi verso l’Europa in generale e verso l’Italia in particolare.

Dati ufficiali, ma la realtà è diversa, rivelano che dall’inizio dell’anno sono arrivate in Europa, salpate dalla Libia, duemilatrecento persone, oltre 2mila, risulta sino state intercettate e riportate in Libia dalle varie Guardie costiere. Per la maggior parte dei migranti clandestini l’Europa era la meta; per altri questa meta è stata l’alternativa ad una serie di programmi di vita falliti, che li hanno condotti nel “girone infernale” del traffico dei “neo schiavi”, della prostituzione, del commercio degli organi e delle sofferenze causate da torture, da soprusi e stenti. Il porto di partenza non è solo Tripoli, ma anche Sabratha e Khoms; la città fondata dagli italiani, Castelverde, poi rinominata Gasr Garabulli, vive prevalentemente del mercato del traffico degli esseri umani. Queste realtà e le organizzazioni connesse ai vari “traffici”, prosperano sulla crisi di Tripoli e sui vari conflitti inter-tribali, mescolando corruzione e finanziamenti provenienti anche da trasversali accordi con gli Stati coinvolti, in ogni forma, con il “sistema” migratorio.

L’Unione europea, in questa zona di guerra, applica una mai adeguata ed opinabile “politica di sostegno”, agendo sulle intercettazioni e sui rimpatri dei clandestini. In questo “quadro” di intervento si trovano: addestramenti delle Guardie costiere libiche, finanziamenti vari, incarichi di salvataggio a navi commerciali, rare ed apparenti azioni intimidatorie alle imbarcazioni di salvataggio delle Ong, ed anche la sospensione dell’operazione denominata European Union Naval Force Mediterranean, conosciuta anche con l’acronimo Eunavfor Med o operazione “Sophia”.

Ma il fattore più preoccupante è l’assenza del “dubbio” nell’operato europeo; le testimonianze sulle drammatiche condizioni che vivono i migranti nei centri di detenzione, spesso bombardati perché vicini a strutture militari, i cannoneggiamenti su Tripoli e sulle sue “strutture”, porto ed aeroporto, ma anche i corposi finanziamenti internazionali che si perdono tra i meandri degli innumerevoli faccendieri, sia di Governo che non, sembrano non influire sulle analisi dei fallimenti delle “politiche” europee.

Ad oggi, le autorità libiche hanno la gestione e la responsabilità di undici i centri di detenzione, finanziati dalle casse europee, i clandestini migranti, una volta rinchiusi in queste strutture, non hanno nessuna certezza su quando potranno essere liberati. L’attesa demolisce psicologicamente e fisicamente i detenuti, di questi molti restano in questi luoghi fino alla prematura morte, altri riescono a scappare, altri si inseriscono nel “sistema” riuscendo a comprare il loro rilascio, o con il “lavoro” o vendendosi, soprattutto se ragazze. Nonostante i lauti finanziamenti internazionali, il cibo scarseggia ed è di qualità al limite del commestibile, le camere di detenzione sono anguste e non protettive alle variazioni termiche, le giornate sono infinte.

Tuttavia, ogni “centro di detenzione” ha logiche e dinamiche proprie. Alcuni “godono” della saltuaria presenza delle Organizzazioni umanitarie altri no; quei centri che sono “schedati” hanno dai duemilacinquecento ai 3mila “ospiti”; degli oltre 700mila migranti che sembra siano presenti in Libia, circa 45mila hanno il riconoscimento dall’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), di status di rifugiati o richiedenti asilo: specificatamente sono di nazionalità somala, sudanese ed eritrea, altri sono identificati come migranti economici e sono prevalentemente maliani, guineani, bengalesi, nigeriani, nigerini ed altri orbitanti intorno all’area sahariana.

Un’altra tipologia di migrante presente in Libia, riconosciuto dall’Unhcr, è quello identificato come “vulnerabile”, cioè: bambini, donne, e malati. Questi, soprattutto provenienti dall’Africa orientale, possono godere del programma di “re-insediamento”, che consiste nel locare provvisoriamente queste persone in paesi africani che li accolgono, previo finanziamento internazionale, per un certo periodo, prima di eventualmente locarli in Europa; tra questi Stati troviamo il Ruanda ed il Niger; in alcuni casi possono essere ospitati anche all’interno della città di Tripoli dove assumono lo status di “rifugiati urbani”, e sono supportati da sostegni economici minimi, con i quali sopravvivono in “attesa”… È molto improbabile che uomini single adulti, che sono la maggioranza, possano usufruire di tali opportunità.

La maggiore spinta che molti migranti hanno verso le sponde opposte del Mediterraneo è data dalla certezza che non potranno mai tornare nella propria Nazione; essenzialmente, le motivazioni di tale convinzione sono la consapevolezza di avere contratto insolubili debiti con persone o organizzazioni nel paese di provenienza; o che per vergogna del fallito “sogno” di un’altra vita, non osano ripresentarsi in famiglia; altri ancora fuggono dalla giustizia locale.

I fallimenti del programma di re-insediamento, non sono solo a carico del “clandestino”, ma sono anche di responsabilità dall’International Organization for Migration (Iom), che ha dimostrato, nonostante i soliti cospicui finanziamenti, una colossale sconfitta. Lo Iom ha organizzato oltre 50mila di questi reinsediamenti dal 2016; oggi risultano meno di 8mila quelli che forse hanno accettato l’opportunità di una “partenza organizzata”. Nell’assurdità dell’operazione Iom, almeno, questi, avranno, nel loro bagaglio di consapevolezze, l’esperienza libica.I migranti in Libia affrontano drammatiche pluri-violenze, tale situazione richiederebbe l’attivazione e l’incremento di misure di protezione per una programmata e coraggiosa evacuazione; ma dove e quando? Per la maggior parte dei Paesi europei, sembra più necessario aspettare che agire; per molti dei migranti presenti in Libia, il presente rimane terrificante ed il futuro quantomeno grigio, salvo che possano rientrare in pseudo politiche di accoglienza che nulla hanno a che fare con la solidarietà, ma solo con interessi trasversali.

Aggiornato il 10 marzo 2020 alle ore 11:40