Scorrendo gli innumerevoli mezzi di “comunicazione di massa” africani, ma soprattutto subsahariani, sia a livello locale che con “orizzonte” più ampio, si scorgono interessanti considerazioni sulla presenza e sulla diffusione del Covid-19 nel continente. Tali reazioni assumono particolare valore se si “leggono” dal punto di vista storico e sociologico. Brevemente e notoriamente, nel continente africano il colonialismo ha avuto una profonda influenza, stravolgendo le tradizioni ed i caratteri legati alle consuetudini antropologiche, modificando il “tessuto” sociale ed economico. La cosiddetta “lotta per la decolonizzazione”, sviluppatasi generalmente a cavallo della metà del secolo scorso, ha prodotto, negli Stati illusoriamente “liberati” dai colonialisti, una cronica contesa per il potere tra i vari capi delle ex tribù locali, diventati leader politici, incrementando divisioni tra le “etnie”, che sono le strutture portanti dell’articolata “umanità” africana. Tuttavia gli ex colonialisti detengono un assoluto potere economico e sono, tuttora, una buona garanzia affinché, l’integralismo islamico e l’anarchia congenita africana, non prendano il sopravvento sulle fragili forme governative. Tuttavia, al di là delle critiche alle attuali influenze degli ex colonialisti, espresse dai media maggiormente in questi ultimi tempi, soprattutto verso i francesi, ogni organizzazione sanitaria, bancaria, di difesa o di cooperazione, ha negli ex colonizzatori un punto di riferimento, da cui l’Africa, per ora, non può prescindere, ma che rimane un tema a cui la politica di molti Stati africani, soprattutto centro-nord occidentali, fa riferimento a fini di propaganda elettorale.

Ad oggi otto Stati del continente africano sono colpiti da coronavirus e, come risulta dai media, la maggior parte dei casi di contaminazione è dovuta alla “visita” di uno “straniero”. Non risulta che ci siano decessi, ma 27 casi sono in isolamento in vari ospedali del continente; sono per la maggior parte cittadini non africani, ma li per lavoro o residenti, di nazionalità italiana, francese e cinese. Ma come accade anche in Italia, il virus sotto forma di “pandemia mediatica”, si insinua virtualmente, con grande virulenza, sui media, ma soprattutto sui social network, incrementando il panico maggiormente in quella parte fatalista della popolazione africana. Un paio di giorni fa in Senegal, è stato individuato il quarto caso di Codiv-19 (ricordo che il Senegal, fino a pochi giorni fa, era uno dei due centri di diagnosi per coronavirus africani, l’altro era in Sud Africa, ad oggi risultano operativi una trentina di centri di diagnosi e cura); YouTube e Twitter hanno registrato un’enormità di comunicazioni e messaggi farneticanti che hanno creato il panico tra la popolazione, individuando nell’“untore straniero” la causa della contaminazione. Riporto solo alcuni di questi commenti apparsi sui social: “Un francese ha contratto il coronavirus, lo introduce in Senegal e gli occidentali sono felici”; oppure: “Vogliono contaminare il nostro continente a tutti i costi”; ancora: “la Francia deve solo inviare un aereo e portarli via, non vogliamo virus qui” (rammento la nota e drammatica “biodiversità virale” africana); altri chiedono a Emmanuel Macron quanto darà in denaro per spese mediche per i suoi connazionali ricoverati in Senegal. La convinzione che appare chiara nei commenti è che i francesi, ex colonialisti, siano i responsabili della diffusione del coronavirus in Algeria, in Senegal ed in Africa in generale (italiani poco considerati anche in questo caso, nonostante tutto), la Francia, twittano, è responsabile della “schiavitù e del coronavirus”. Molto interessanti sono le considerazioni di alcuni commentatori che chiedono: “la limitazione dei voli da tutti i paesi interessati”, indicando nella chiusura dei confini, come accaduto per l’epidemia di Ebola (febbre emorragica), tra il 2013 ed il 2016, dove tale misura era stata applicata il Liberia, in Sierra Leone, in Guinea.

In realtà risulta che questa “modalità” sia risultata notevolmente efficace per il contenimento dell’virus Ebola. Sulla carta stampata senegalese il tenore delle accuse non è diverso; il quotidiano l’Evidence scrive: “La Francia ‘incorona’ il Senegal”, evidenziando: “Commercio di schiavi, colonizzazione economica, colonizzazione epidemiologica?”. Molte altre comunicazioni, prevalentemente falsi, falsità non da tutti percepite, dicono di un “uomo bianco” contaminato che chiede un riscatto al governo nigeriano, o di un predicatore di nome David Kingleo Elijah che fatalmente si è recato a Wuhan per “sradicare profeticamente” alla fonte il virus, ma è stato poi ricoverato.

Come possiamo vedere se c’è un fattore che unisce senza distinzione di colore, religione, cultura ed altro l’uomo, è la follia ed il delirio, soprattutto nei casi di criticità sociale. È evidente che la maggior parte di queste reazioni all’epidemia si mescolano al risentimento legato all’era coloniale, ma anche ad una globalizzazione degli “stimoli” che spesso porta al “trionfo del nulla”.

Aggiornato il 09 marzo 2020 alle ore 12:38