Mali: il rischioso dialogo con i jihadisti

Il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta, nel pieno dell’emergenza jihadista che vede il Mali frastornato dagli attacchi dei miliziani dello Stato islamico del Grande Sahara, si trova costretto a valutare la “pesante” possibilità di negoziare con i jihadisti.

L’eventualità di un “dialogo” con i terroristi islamici del Sahel non è cosa nuova; fino al 9-10 di febbraio 2020, data della presenza di Keïta ad Addis Abeba, durante il summit dell’Unione Africana (Ua), l’idea di un colloquio con Amadou Koufa, capo del gruppo armato salafita denominato Fronte di Liberazione di Macina (Flm) e Iyad Ag Ghaly, vertice del gruppo salafita Anṣār ad-Dīn (I difensori della religione), punti di riferimento del jihadismo organizzato sahariano, era ufficialmente escluso; ma sotto la pressione della stampa internazionale, come Rfi e France 24, il presidente maliano ha affermato di non escludere un incontro con i capi terroristici. È la prima volta che conferma ufficialmente l’apertura di “canali di contatto” con i due principali leader dei gruppi jihadisti che fanno riferimento allo Stato islamico del Grande Sahara (Isgs), legato anche all’altro gruppo estremista islamico salafita di Al-Qaeda. Durante l’intervista delle emittenti internazionali, ha affermato che: “Ho il dovere e la missione di creare tutti gli spazi possibili e di fare tutto in modo che, o in un modo o nell’altro, raggiungiamo una pacificazione. È tempo che vengano esplorati alcuni viali... non siamo persone testarde, limitate o ottuse”.

L’affermazione di Ibrahim Boubacar Keïta è a dir poco inquietante, ed apre ad una serie di considerazioni sul suo fallimento personale nella difesa del Stato e sul parziale fallimento delle organizzazioni internazionali, come il G5 Sahel ed il Barkane, sponsorizzate ambedue con modalità simili dalla Francia e con minor “impegno” da altre potenze occidentali, come la Germania e gli Stati Uniti.

Va detto che nonostante Boubacar Keïta ostentasse “strategie segrete” circa la sua “politica jihadista”, molta diplomazia internazionale e “analisti geopolitici”, erano a conoscenza che alcuni canali di comunicazione non ufficiali erano attivi tra Bamako (Mali) e le aree occupate dai jihadisti di Koufa e Ag Ghaly. In più occasioni il presidente maliano ha cercato, con cruciale prudenza, di sondare le opinioni degli altri leader governativi, anche dei Paesi membri del G5 Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger, Muritania e Ciad), con lo scopo di avere una sorta di “avallo a procedere” nell’avventuroso negoziato con i terroristi maliani; risulta anche che abbia adottato varie modalità comunicative al fine di poter sondare l’opinione pubblica, ma senza convincenti risposte.

 Il suo ex primo ministro, Abdoulaye Idrissa Maïga, nel 2017, aveva tentato una missione “semi segreta” con scopi conciliatori con l’Imam Mahmoud Dicko, legato al leader jihadista Koufa; ma l’arrivo del nuovo (ormai ex) primo Ministro (2017-2019), Soumeylou Boubèye Maïga, fautore della “linea dura”, interruppe bruscamente questa pericolosa e disperata iniziativa.

Ricordo che nel quadro dei negoziati sia a carattere ufficiale che non, vi sono numerose “operazioni trasversali” che diventano il “propellente” per tutte le dinamiche sia strategiche che politico-economico-sociali del Sahel. Dette “dinamiche” conducono enormi flussi di denaro, “vestiti” da “progetti”, in questa complessa regione. L’Assistenza Internazionale è un rapporto tra donatori e destinatari, che si basa sull’atavico principio (filosofia coloniale) dell’aiuto allo sviluppo, rappresentato in particolare dai programmi dell’Alleanza per il Sahel. Nella prima assemblea generale, organizzata martedì 25 febbraio a Nouakchott, in Mauritania, a margine del vertice dei capi di Stato del G5 Sahel, sono riemersi i programmi, nati nel 2017 tra Francia e Germania, che avevano l’’ambizione di coordinare meglio gli sforzi dei vari “donatori”, con lo scopo di migliorare l’efficacia di questa cooperazione. È stato ribadito che gli sforzi comuni devono impegnare i governi locali a destinare maggiori risorse nella sicurezza per contrastare la minaccia jihadista; mentre i partner dell’Alleanza (stati e donatori), oggi arrivati al numero di 12 membri, sono impegnati su 800 progetti per un valore di 12 miliardi di euro previsti fino al 2022.

Tuttavia questa pioggia di soldi annunciata lascia perplessi i Governi degli Stati interessati, come dichiarato da Mikaïlou Sidibé, membro della Segreteria Permanente del G5 Sahel che ha dichiarato: “Le persone dubitano sempre più delle politiche di cooperazione; non vedono l’impatto; esiste un vero problema di leggibilità delle cifre annunciate dalle istituzioni multilaterali e dai donatori bilaterali”, aggiungendo sarcasticamente: “un grande clamore per portare via la spazzatura dal campo”.

Ricordando gli errori dell’Afghanistan, dove 10 miliardi di dollari sono stati spesi per nulla, come ribadito anche da Jean-Marc Gravellini capo dell’Unità di Coordinamento dell’Alleanza, chi se ne avvantaggerà dell’enorme flusso monetario previsto nel Sahel?

Aggiornato il 28 febbraio 2020 alle ore 11:29