Le Nazioni Unite si apprestano a festeggiare, nel 2020, i 75 anni dalla loro creazione e fondazione. L’apparato istituzionale dell’Onu è rimasto sostanzialmente identico a quello ideato dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Attualmente, oggetto di dibattito è incentrato sulla struttura del Consiglio di Sicurezza, l’organo più importante, sul quale fa perno il sistema di sicurezza collettiva, cioè il meccanismo basato sul coordinamento fra le grandi potenze per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. L’organo, infatti, nonostante l’aumento del numero dei suoi membri da 11 a 15, avvenuto nel 1965, è ancor oggi fondato sulla preminenza dei cinque membri permanenti, dotati di “potere di veto”, ovvero, la facoltà di bloccare qualunque decisione significativa con un voto contrario. La società globalizzata e le sfide dell’attualità chiamano in gioco il ruolo delle Nazioni Unite e sono numerosi gli analisti, gli esperti e i politici che chiedono riforme radicali all’interno del circuito onusiano.
“La ragione principale della crisi odierna dell’Onu va ricondotta alla stessa causa che impedisce l’adozione di riforme strutturali di rilievo: vale a dire quella frammentazione dell’ordine mondiale, accompagnata da tendenze crescenti alla messa in discussione su un piano generale del ruolo delle istituzioni internazionali e sovranazionali, così come dello stesso diritto internazionale, dei diritti umani, dello stato di diritto, e all’evidenziarsi di pericoli sempre più significativi per la pace mondiale”, ha recentemente scritto il professore Marco Pedrazzi, dell’Istituito per gli studi di Politica Internazionale (ISPI).
Nessun Paese membro delle Nazioni Unite ha mai potuto negare l’esigenza di ridefinire radicalmente la Governance del Consiglio, di ampliarne la composizione, di prendere atto di nuovi equilibri regionali e globali.
Innumerevoli realtà, istituzionali e non, sostengono fin dagli anni ‘90 che solo un Consiglio più “rappresentativo” e “responsabile” di quello uscito settant’anni fa dalla Conferenza di San Francisco potrà sostenere la sfida della frammentazione e della conflittualità, in un mondo triplicato per popolazione e quadruplicato quanto al numero di Stati sovrani.
Difficoltà del modello onusiano che vengono evidenziate anche dall’Ambasciatore Giulio Terzi, del Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”. L’Eccellenza ha recentemente scritto: “La riformabilità o meno del Consiglio di Sicurezza risiede nella sensibilità nazionale delle rispettive opinioni pubbliche, dei sistemi politici, dei Parlamenti di Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia. Per ciascuno di questi cinque Paesi, è perciò irrealistico pensare a un qualsivoglia ridimensionamento volontario delle prerogative che si accompagnano allo status di Membro Permanente; se non forse, ma in misura comunque minima, per la Francia che si è detta disponibile ad autolimitazioni volontarie del “veto”; ma si badi bene, assolutamente non in termini di rinuncia a un diritto dei Membri Permanenti. La verità è che continua a esistere incontrastato, alle Nazioni Unite, un Concerto delle Grandi Potenze, tra cinque Paesi che uniscono al diritto esclusivo di possedere e utilizzare armi nucleari, detentori di privilegi esclusivi e irrevocabili”.
Inoltre, non va sottovalutato il riconoscimento “effettivo” del diritto di partecipazione per gli Stati di più piccola dimensione, la cui stessa sopravvivenza rischia di venir messa in discussione da “sfide planetarie”, si pensi alle problematiche climatiche e alle emergenze ambientali, che pure entrano nell’equazione della sicurezza per l’impatto che esse comportano sullo sviluppo, le migrazioni e la stabilità politica di intere regioni del mondo. Un problema evidente con Taiwan. Lo scorso luglio, la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, durante un incontro con i rappresentanti permanenti alle Nazioni Unite degli alleati del paese asiatico ha ribadito che i 23 milioni di taiwanesi hanno il diritto di partecipare al sistema delle Nazioni Unite da cui ora sono esclusi per il veto della Cina, che considera l’isola parte del suo territorio, violando la dignità, la libertà di scelta e di autodeterminazione dell’Isola asiatica.
Aggiornato il 09 settembre 2019 alle ore 11:36