Boris Johnson, da qualche giorno, sta occupando la scena politica britannica. A due giorni dalle dimissioni formali della premier Theresa May, l’ex ministro degli Esteri continua a picconare il partito conservatore. Il suo partito. Per Johnson i Tory rischiano “potenzialmente l’estinzione” se non riusciranno a realizzare la Brexit e a “rimettere al suo posto” il leader del Brexit Party Nigel Farage.
Il principale candidato alla successione della May, nel corso di un incontro a porte chiuse con un’ottantina di parlamentari, ha sottolineato l’importanza di portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea entro la fine di ottobre, escludendo sia elezioni anticipate, sia un secondo referendum, che sarebbe “assolutamente antidemocratico”. Johnson ha promesso che, se diventerà premier, cercherà di rinegoziare con Bruxelles l’accordo sulla Brexit messo a punto dalla May che, ha detto, “semplicemente non funziona”.
Il falco dei conservatori britannici è poi tornato anche sulla necessità di non escludere la possibilità di un divorzio senz’accordo da Bruxelles laddove non fosse praticabile la strada di una revisione dell’accordo con l’eliminazione del backstop: la clausola vincolante di salvaguardia del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord che Londra giudica potenzialmente pericolosa per la sua sovranità su Belfast, ma l’Ue si è rifiutata finora categoricamente di escludere.
“Non voglio il ‘No Deal’, ma dobbiamo prepararci anche a questa eventualità” e, nel caso, “l’Ue dovrà permettercela”, ha precisato al riguardo l’ex ministro secondo una citazione colta dalla Repubblica durante il suo intervento, svoltosi in teoria a porte chiuse dinanzi ai circa 80 deputati di One Nation: corrente ‘moderata’ e centrista del gruppo parlamentare Tory. La stessa platea è stata affrontata ieri sera anche da altri tre degli 11 candidati rimasti in campo nella corsa per la successione a Theresa May destinata a iniziare ufficialmente la settimana prossima con nuove regole in modo da accorciare i tempi (Andrea Leadsom, Sajid Javid e Rory Stewart). Candidati rispetto ai quali Boris Johnson si è detto comunque convinto d’essere più spendibile per affrontare “e sconfiggere (il leader laburista) Jeremy Corbyn” nei comizi di una prossima sfida elettorale nazionale.
Intanto, Donald Trump in visita nel Regno Unito, ha visto faccia a faccia il ministro degli Esteri Jeremy Hunt, prima d’incontrare quello dell’Ambiente, Michael Gove: considerati come potenziali favoriti, insieme a Johnson, nella corsa alla successione della May come leader Tory. In tarda mattinata il presidente Usa sarà poi a Portsmouth, sud dell’Inghilterra, per commemorare con la regina, la May e i leader di 15 Paesi alleati i 75 anni dell’avvio dello sbarco in Normandia, il più imponente della storia, che proprio da questa città prese le mosse nel 1944, durante la Seconda guerra mondiale. Elisabetta II, come ha twittato Buckingham Palace, è già sul posto, dove sono presenti anche vertici militari, veterani e la ministra della Difesa britannica, Penny Mordaunt. Si tratta di “una chance, forse l’ultima, per ringraziare” gli anziani reduci superstiti, ha notato Mordaunt, “per il coraggio dimostrato in quella impresa mozzafiato d’immensa portata” che fu il D-Day.
Frattanto, il governo britannico ha accolto positivamente le puntualizzazioni del tycoon sull’intenzione di lasciare il sistema sanitario nazionale del Regno (Nhs) fuori da un futuro accordo commerciale bilaterale post Brexit e al riparo da eventuali interessi americani. “La posizione del governo è che l’Nhs non sarà mai privatizzata e che non cambierà per effetto di alcun accordo commerciale”, ha sottolineato una portavoce di Downing Street a nome di Theresa May, prendendo atto delle precisazioni del presidente americano sul “suo punto di vista”.
Nei giorni scorsi l’ambasciatore Usa a Londra, Woody Johnson, aveva ipotizzato apertamente l’ingresso di capitali americani nella sanità britannica dopo la Brexit. Trump, interpellato sul tema nella conferenza di stampa congiunta di ieri con la May, era parso invece un po’ spiazzato, ma aveva comunque detto che in un negoziato commerciale “tutto sarebbe stato sul tavolo”: suscitando un vespaio di reazioni polemiche dalle opposizioni britanniche, come pure dalle file del governo.
Aggiornato il 05 giugno 2019 alle ore 16:53