Diritti dell’uomo e geopolitica dell’Islam

In 12 ottobre scorso il Premier Giuseppe Conte annunciava tramite Facebook che l’Italia si era aggiudicata un posto (triennio 2019-22) nel “Consiglio dei Diritti Umani” (UNHRC), una organizzazione delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, dichiarando che “l’Italia ha nel suo Dna la promozione del dialogo”. Due mesi dopo, nell’ambito del Doha Forum sul Medioriente, il Segretario Generale dell’Onu Guterres ha reso pubblico che il “Qatar concederà un maxifinanziamento da mezzo miliardo di dollari alle Nazioni Unite”, finalizzato al miglioramento funzionale di alcune Agenzie Onu, tra cui anche l’UNHRC. In questa maniera, il Qatar ha superato l’Arabia Saudita, quale maggior finanziatore del mondo arabo per il funzionamento del UNHRC. Appare, dunque, evidente che, malgrado la chiusura diplomatica subita dal Qatar l’anno scorso (“Paese finanziatore del terrorismo internazionale”), emerge sempre più la competizione tra queste due nazioni per la leadership del mondo arabo-islamico. A chiarire questo concetto è stato Il ministro degli Esteri del Qatar, Abdurrahman al-Thani, che ha specificato che, in queste organizzazioni, sia regionali sia Onu, “il dialogo ha valore solo se c’è l’uguaglianza di peso fra i Paesi al suo interno, mentre per ora i Sauditi ne hanno la indiscussa supremazia”.

L’argomento del contendere tra Arabia Saudita e Qatar, dunque, non è solo di natura “geopolitica” ma soprattutto di leadership da assumere in ambito politico per l’intero mondo musulmano sciita e sunnita. Il Qatar, in particolare, ha assunto un ruolo di primo piano nel corso delle “Primavere Arabe” per l’intera area Mediorientale. I “Fratelli Musulmani” dell’Egitto di Morsi, ma anche le attuali compagini salafite in tutto il nord Africa ad essi iscrivibili, i gruppi Al Nousra in Siria, le diversificate “milizie” libiche, i ribelli sciiti Houthi in Yemen, Hamas nella Striscia di Gaza, etc. etc.. Tutti finanziamenti resi pubblici quali azione di “proselitismo” per l’affermazione del credo islamico. Le stesse “identiche” motivazioni vengono date, però, sia dall’Arabia Saudita (coalizione sunnita in Yemen, Esercito di Liberazione siriano, penisola arabica, Maghreb e Turchia, Al Qaeda, miliziani somali, gruppi salafiti in Europa, proselitismo sunnita saudita mondiale, etc. etc.) sia dall’Iran (Hezbollah, milizie siriane, Houthi, Hamas, etc.), senza parlare dell’Isis, supponendola in estinzione. Sta di fatto che le tre nazioni guida del mondo musulmano - Arabia Saudita, Qatar, e Iran - diffondono nel loro proselitismo valori essenzialmente politici e sociali di estrazione shariatica.

Sebbene queste forme di “pluralismo” dovrebbero interessare solo l’interpretazione religiosa dei Sacri Testi (Corano e Hadith), cioè ciò che caratterizza le varie forme di credo islamico (Imamiti, Ismailiti, Zaiditi, Kharigiti, Alawiti, i Drusi, i etc. etc.), nella pratica a livello di singola nazione si è tramutato in orientamenti politici trascritti nelle singole Carte Costituzionali. Dal punto di vista internazionale, tutto questo è stato ufficializzato nella Dichiarazione Islamica dei Diritti dell'Uomo, proclamata il 19 settembre 1981 presso l'Unesco a Parigi, e approvata al Cairo da 36 Nazioni islamiche nel 1990.

Le già citate nazioni a capo del proselitismo islamico a livello internazionale (la maggioranza delle nazioni di credo islamico non hanno mai aderito alla Dichiarazione Onu dei Diritti dell’uomo del 1948), hanno quindi avuto come riferimento, anche in sede Onu, la dichiarazione del Cairo. Di rimando, i gruppi terroristici o deviati, le milizie armate e le figure e i partiti espressione della Fratellanza Musulmana radicale, non sono altro che espressioni di “Islam organizzato”. Vedi in Libia, ad esempio, dove sotto l’etichetta di “miliziani”, i “Fratelli Musulmani” finanziati dal Qatar continuano a manipolare la ben diversa realtà popolare di Tripoli. Lo stesso dicasi per Iraq, Palestina, Afghanistan, Somalia e Siria, dove gruppi armati/jihadisti minoritari rappresentano l’effetto dell’azione di finanziamento/proselitismo, quindi gli interessi politico-religiosi delle nazioni di riferimento ideologico-religioso che hanno finanziato le loro attività.

Per contro e per concludere, mentre in Europa vanno maturando forme di integrazione “consapevole”, considerando che i cristiani nel mondo sono al 32 per cento, mentre l’Islam è al 27, è necessariamente nelle istituzioni internazionali che si giocherà il futuro dei “diritti dell’umanità”. In particolare, nel “Consiglio per i Diritti Umani” e “Nel Comitato per la lotta al Terrorismo del Consiglio di Sicurezza”, per l’Europa, in particolare l’Italia, il dialogo per una migliore integrazione dei Diritti umani dovrà emergere in tutta la sua evidenza, evitando di perseverare su: “è meglio non parlare di ciò che divide!”, che per contro sino ad oggi è stata la parola d’ordine all’interno delle Nazioni Unite. D’altra parte, se a tutt’oggi Papa Francesco continua a imporre questa dottrina all’interno del dialogo interreligioso cristiano-islamico, c’è però da domandarsi: di quale colore si tingerà il futuro dei Diritti dell’uomo?  

Aggiornato il 27 dicembre 2018 alle ore 12:52