Australia, le “scuse” alle vittime di abusi della chiesa

L’Australia chiede scusa per gli abusi della chiesa sui minori. “Oggi – ha detto il premier Scott Morrison – il Paese affronta un trauma, un abominio. Affrontiamo come nazione la nostra incapacità di ascoltare, di credere e di assicurare giustizia. Ancora una volta oggi chiediamo perdono. Ai bambini rispetto ai quali abbiamo mancato, perdono. Ai genitori che hanno visto tradita la propria fiducia e che hanno faticato a raccogliere i pezzi, perdono. A chi ci allertava e non abbiamo ascoltato, perdono. Ai coniugi, partner, mogli, mariti, bambini che hanno dovuto far fronte alle conseguenze degli abusi, insabbiamenti ed ostruzioni, perdono”.

Le “scuse formali” di Morrison sono le seconde, nella storia australiana, dopo quelle del 2008. Quando sono state pronunciate nei confronti degli indigeni australiani. Il premier interviene ad un anno dal rapporto della Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse che ha fatto conoscere, dopo cinque anni di indagini, la terribile verità sugli abusi sui bambini da parte di esponenti del clero e dei supervisori di orfanotrofi.

Morrison ha detto che ha intenzione di aprire un museo nazionale per ricordare l’orrore. “Lavoreremo con le vittime – ha chiarito – per assicurare che le vostre storie siano registrate, che la vostra verità sia rivelata, che la nostra nazione non si sottragga alla vergogna e che non dimentichi mai gli orrori taciuti che avete vissuto”.

Nel 2018 l’Australia ha varato un prospetto di compensazione per il risarcimento alle vittime di abusi fino a 150mila dollari australiani ciascuno, circa 106mila dollari americani. Eppure, le vittime non credono alla bontà delle parole del premier. E non ritengono sufficienti le “scuse formali”. Tony Wardley, che ha subito gli abusi negli anni Ottanta, attacca: “Se pensano che chiedere scusa porrà termine alla vicenda, si sbagliano. C’è ancora così tanto da fare”.

Aggiornato il 22 ottobre 2018 alle ore 13:37