Theresa May e la soft Brexit

La premier inglese, Theresa May, si gioca tutto. La Camera dei Comuni voterà lunedì il suo piano sulla Brexit che, giudicato troppo morbido dall’ala dura del “Leave”, ha causato le dimissioni del ministro degli Esteri, Boris Johnson, e di David Davis, il cui dicastero era direttamente incaricato di gestire i negoziati per il divorzio da Bruxelles.

L’ala dei deputati conservatori ribelli che potrebbe votare no, sarebbe pari a qualche decina su un totale di 317. Ma, a meno che arrivi un soccorso da parte dell’opposizione, ne basterebbero molti meno per far saltare tutto. Alla Camera dei Comuni il governo May ha infatti una maggioranza di appena due voti e il suo esecutivo è appeso al sostegno dei dieci unionisti irlandesi.

Il post dai toni forti sui migranti comunitari apparso ieri sul profilo Facebook ufficiale della premier appare come un tentativo in extremis di ricompattare un partito lacerato. “Non accadrà più - scrive May - che la gente senza permesso arrivi qui da tutta Europa con la remota speranza di poter trovare un lavoro.

Saranno sempre benvenuti invece i professionisti qualificati che aiutano il nostro Paese a prosperare, medici e infermieri, ingegneri e imprenditori, ma per la prima volta da decenni, avremo il pieno controllo delle nostre frontiere. E sarà il Regno Unito, non Bruxelles, che deciderà a chi sarà consentito vivere e lavorare qui”.

La questione non è però così netta. Non solo le società che forniscono servizi saranno in grado di “muovere le loro persone di talento” attraverso il Canale della Manica ma continuerà a essere concesso ai cittadini comunitari di recarsi nel Regno Unito senza visto per impieghi di lavoro temporanei”.

Ma a far inviperire i Brexiteer sarà soprattutto il punto che prevede che le controversie commerciali, in certi casi, debbano “far riferimento alla Corte di giustizia dell'Unione europea per l’interpretazione”. Si parla però di una Brexit soft. L’obiettivo è, di fatto, mantenere con Bruxelles una relazione il più possibile simile a quella esistente, con un dialogo regolare e istituzioni congiunte. Naturale che Johnson se ne sia andato sbattendo la porta.

Aggiornato il 13 luglio 2018 alle ore 12:15