Libia, la guerra del petrolio preoccupa l’Onu

Le milizie libiche sono sempre più aggressive. L’ultimo esempio riguarda la riconquista dei terminal petroliferi in Cirenaica. Da Bengasi, il generale Khalifa Haftar comunica che il governo dell’Est, guidato da un suo sottoposto, avrebbe iniziato a vendere il petrolio, in maniera autonoma, dalle autorità di Tripoli. Ma, nonostante la divisione fra le due aree maggiori, quella di Tripoli e quella di Bengas-Tobruk, i proventi del petrolio venivano spartiti più o meno equamente. I pagamenti delle vendite effettuate dalla National Oil Corporation andavano alla Banca centrale di Tripoli e a sua volta la Banca rimborsava costi, investimenti e ricavi alla Noc. Frattanto, Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna hanno diffuso una nota congiunta in cui sostengono che “il petrolio, la produzione e i profitti appartengono al popolo libico. Queste vitali risorse libiche devono rimanere sotto l’esclusivo controllo della legittima National Oil Corporation e sotto la supervisione del Governo di accordo nazionale come sottolineato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.

Secondo Stati Uniti, Italia, Francia e Regno Unito, “ogni tentativo di aggirare le sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu causerà danni all’economia libica, minerà la sua stabilità e inasprirà la crisi umanitaria. La comunità internazionale conterrà coloro che vogliono minare la pace e la sicurezza in Libia. Chiediamo a tutti le fazioni armate di cessare le ostilità e di ritirarsi immediatamente dalle installazioni petrolifere senza condizioni prima che si creino ulteriori danni”. Anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è intervenuto per condannare la mossa di Haftar: “Tutte le risorse naturali, la loro produzione e i loro introiti – ha detto – devono rimanere sotto il controllo delle autorità libiche riconosciute”.

 

 

Aggiornato il 28 giugno 2018 alle ore 19:11