Proteste in Iran, il “complotto” dei nemici del regime

Un complotto dei “nemici” esterni. La prima reazione della Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, alle manifestazioni che da quasi una settimana scuotono l’Iran, rientra nel copione sempre seguito da Teheran per spiegare in passato qualsiasi contestazione di piazza, comprese le proteste del 2009. Ma gli incidenti degli ultimi giorni avvengono al culmine di conflitti e tensioni regionali che sembrano rendere lecito almeno qualche interrogativo in proposito. Anche se le autorità iraniane e le stesse opposizioni sono state colte di sorpresa dall’ondata di proteste, è incontestabile che i motivi di malcontento, soprattutto per le classi più povere, esistano da tempo. Mentre l’accordo sul nucleare del 2015 non ha portato per molti cittadini i benefici economici sperati, nell’ultimo anno l’opinione pubblica è stata scossa da eventi che hanno contribuito ad aumentare l’esasperazione: una serie di scandali finanziari, la reazione dello Stato giudicata inadeguata al disastroso terremoto nell’ovest dell’Iran e infine una legge di bilancio che taglia i sussidi per milioni di cittadini, aumenta vertiginosamente le tasse per l’uscita dal Paese e incrementa il prezzo della benzina. 

Il tutto mentre ingenti somme vengono destinate a fondazioni e centri di studi religiosi. Ma ad essere contestato negli slogan dei manifestanti è in particolare l’impegno militare e finanziario di Teheran, per un valore di svariati miliardi di dollari, profuso a beneficio degli alleati nella regione e funzionale ad un espansionismo che le autorità iraniane perseguono da anni in Iraq, Siria e a favore degli Hezbollah libanesi. Iniziative denunciate a gran voce da Israele, dagli Usa e dall’Arabia Saudita, che tra novembre e dicembre ha visto due missili lanciati verso Riad dai ribelli yemeniti Houthi, alleati dell’Iran. Non stupiscono dunque le espressioni di sostegno quotidiane alle proteste che scuotono le città iraniane venute dal presidente americano Donald Trump e dal premier israeliano Benyamin Netanyahu, che ha visto l’Iran rafforzare le sue posizioni ai confini dello Stato ebraico. 

Riad per ora tace, ma le difficoltà interne iraniane e la contestazione alle ambizioni geostrategiche di Teheran provenienti dai manifestanti non possono che far piacere ai sauditi. In un’analisi per al Arabiya, Abdulrahman al Rashed, ex general manager della televisione panaraba controllata dai sauditi, ha espresso quelle che realisticamente potrebbero essere le speranze di Riad: non una caduta del regime iraniano, che avrebbe conseguenze “spaventose” per una regione già percorsa da conflitti e tensioni di ogni tipo, ma “un cambiamento nella politica estera di Teheran e la fine del suo approccio aggressivo”. Questo, insiste Al Rashed, sarebbe un risultato “perfetto”. Sull’altro fronte, come era logico aspettarsi, il governo siriano esprime piena solidarietà alle autorità iraniane, davanti a quella che denuncia come “una cospirazione”. Mentre estremamente prudente si mostra la Turchia, che dopo aver contrastato per anni l’intervento iraniano in Siria collabora oggi con Teheran e con la Russia nel cercare una soluzione al conflitto. Il ministero degli Esteri di Ankara ha espresso “preoccupazione” per gli eventi in Iran e ha auspicato che prevalga “il buon senso per prevenire l’escalation degli eventi ed evitare la retorica provocatoria e gli interventi stranieri”.

Aggiornato il 03 gennaio 2018 alle ore 08:24