11 Paesi americani contro “costituente” di Nicolas Maduro

Nicolas Maduro è sempre più isolato: nelle ultime 24 ore il governo del Venezuela ha dovuto prendere atto che ormai pochissimi Paesi delle Americhe lo appoggiano e anche ammettere, inchiodato da immagini che hanno fatto il giro del mondo, che un 17enne morto ieri durante un’ennesima protesta dell’opposizione è stato ucciso dalle forze della sicurezza con armi da fuoco. Che le cose per Caracas non stavano andando per il verso giusto all’Assemblea dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) di Cancùn, in Messico, lo si era capito quando la ministra degli Esteri del Venezuela, Delcy Rodriguez, se n’è andata dalla riunione sbattendo la porta.


All’Assemblea Osa, infatti, nessuna proposta di dichiarazione è riuscita a ottenere l’appoggio di almeno 23 Paesi su 35 necessario per essere adottata. Ma il testo presentato da un gruppo di 14 Paesi capeggiati dal Messico, in cui si chiedeva al governo ‘chavista’ di Maduro di “riconsiderare” la sua proposta di riforma costituzionale, ha ottenuto 20 voti. E quello presentato dai Paesi dei Caraibi, che conteneva solo un appello generico al dialogo politico a Caracas, è stato appoggiato solamente da 8 Paesi. E così oggi 11 Paesi americani - Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Cile, Honduras, Guatemala, Messico, Paraguay, Perù e Stati Uniti - hanno diffuso una dichiarazione autonoma, molto dura nei confronti del governo di Maduro.

In questa nuova presa di posizione regionale si riprendono i quattro punti fissati nel dicembre scorso dal segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, che prevedono la creazione di un canale umanitario per cibo e medicine; di un calendario elettorale concordato fra governo e opposizione; la restituzione al Parlamento di Caracas dei suoi poteri e la liberazione dei prigionieri politici. E in più ai quali si aggiunge ora la richiesta di sospendere il progetto di modifica della Costituzione.
Nelle stesse ore, a Caracas una manifestazione contro la riforma costituzionale è degenerata in scontri violenti durante i quali un 17enne, Fabian Urbina, è stato ucciso da uno sparo di arma da fuoco che lo ha raggiunto al torace.

La rapida diffusione delle testimonianze raccolte dalla stampa e dai social network sulla morte di Urbina ha lasciato poco spazio ai dubbi: nei foto e video si vedono chiaramente almeno due agenti della Guardia Nazionale sfoderare le loro pistole e sparare direttamente contro i manifestanti, ad altezza d’uomo. Altri cinque giovani manifestanti sono stati feriti dagli proiettili. Messo con le spalle al muro dall’evidenza, il ministro degli Interni, Nestor Reverol, ha dovuto ammettere - ed è stata la prima volta - che il giovane manifestante è morto a causa di un “uso irregolare e sproporzionato della forza” da parte delle forze di sicurezza. Malgrado ciò, tuttavia, Reverol ha ribadito che il governo “condanna la violenza e gli appelli insurrezionali dell’opposizione”, che considera responsabile per le vittime della repressione.

Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 13:35