Elezioni in Iran, cronaca di una farsa annunciata

Avranno luogo il 19 maggio le elezioni iraniane, per le quali si presentano come candidati l’attuale presidente Hassan Rouhani, il cosiddetto “moderato” che durante la sua permanenza al governo ha fatto giustiziare più di 3mila persone.

Il secondo candidato è Ebrahimi Raisi, membro chiave della “Commissione della morte”, nel solo 1988 mandò a morte oltre 30mila prigionieri politici. Raisi ha 56 anni, è un giudice e un Ayatollah che indossa un turbante nero simbolo della sua “discendenza dal profeta Mohammad” detto anche Maometto. Ha inoltre fatto giustiziare nel corso degli anni dall’ascesa di Khomeini, persone che avevano appena finito di scontare la loro pena in carcere, compresi adolescenti e donne.

Alla luce di questi due dati, è necessario fare una panoramica su quello che è il funzionamento delle elezioni in un paese come l’Iran, che è l’unico al mondo ad avere un regime teocratico al governo. La cosa fondamentale da tener presente, è che la natura delle elezioni in Iran non ha niente a che vedere con quella che possa considerarsi una qualsivoglia forma di democrazia, pertanto è fuorviante ritenere che sia sufficiente il voto popolare per ritenere di essere all’interno di un quadro democratico, in quanto la costituzione impedisce che vi sia questo criterio.

La legge elettorale si basa sul fatto che i candidati devono essere sottoposti al vaglio del “Consiglio dei guardiani”, che è la massima espressione del clero sciita composto da sei teologi nominati dal leader supremo: questi passano al vaglio i candidati alle elezioni, che devono aderire perfettamente al principio del velayat-e-faqhih, ovvero la perfetta identificazione tra religione e politica, questa procedura vale anche per coloro che vengono collocati nel servizio dell’intelligence e della magistratura.

In base all’articolo 26 della costituzione iraniana i partiti politici non possono violare le leggi islamiche e l’art. 27 consente che le assemblee si possono tenere solo a condizione che non violino le suddette, pertanto vengono sottoposti a stretta sorveglianza e ovviamente non è possibile che nasca alcun gruppo di opposizione. Si tratta quindi di elezioni di candidati nel giro del regime e fedelissimi al sistema.

La metà dei membri del Consiglio dei Guardiani che sono i controllori di tutte le funzioni sottostanti, sono a loro volta scelti direttamente dal leader religioso supremo, pertanto chiunque abbia un minimo disaccordo con le regole da lui emanate, non potrà candidarsi. E’ chiaro che in assenza di un’opposizione, le elezioni vengo svuotate di qualsiasi valenza democratica. Il presidente che viene eletto in Iran sotto il sistema del velayat-e-faquih, non può essere minimamente paragonato a quello prodotto da un sistema quale quello americano o francese, poichè l’autorità del leader supremo è così pervasiva da invalidare sul nascere quella del presidente che è soggetto a revoca in ogni momento del suo mandato; tutto è nelle mani di Khamenei e del suo Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) che possono applicare con la forza qualsiasi tipo repressione contro eventuali proteste. Mohammad Khatami il presidente che veniva definito moderato, tra il 1997 e il 2005 soleva dire: “siamo soltanto degli esecutori del regime”.

 Il fatto che nel regime dei mullah vi sia la presenza di due o più fazioni, non significa che siamo in presenza di qualche aspetto democratico di rappresentanza, ma solo che in campo giocano forze che sono, tutte, l’emanazione del regime teocratico, per questo motivo è praticamente impossibile che in Iran possa nascere una democrazia attraverso il sistema attuale, tanto meno si può definire “moderato” un qualsiasi presidente prodotto da questo tipo di elezioni. Questa definizione di moderato, è un mantra truffaldino che l’occidente ripete per ingannare l’opinione pubblica rispetto alla reale situazione iraniana. E’ bene ricordare che il punto in comune tra le varie fazioni teocratiche è quello di determinare e sostenere le attività terroristiche all’estero e le esecuzioni degli eventuali dissidenti all’interno del paese. Struan Stevenson, ex-parlamentare europeo ha recentemente dichiarato che “le elezioni del 19 maggio offrono la scelta tra la peste e il colera”.

Le elezioni del 19 maggio dunque non saranno fondamentali solo per capire l’atteggiamento che l’Iran avrà per i prossimi quattro anni nel panorama mediorientale, ma potrebbero anche essere determinanti sulla nuova linea della Guida Suprema, che ha ripercussioni su tutta la mezzaluna sciita, da Teheran fino a Beirut passando per Damasco e Baghdad.

Aggiornato il 12 maggio 2017 alle ore 20:07