Con Biram contro la schiavitù in Mauritania

Nella Repubblica Islamica di Mauritania la dignità umana è quotidianamente calpestata e i diritti fondamentali sono sistematicamente compressi, sia da parte del governo del generale Mohamed Ould Abdel Aziz che da molti appartenenti all’etnia di minoranza Bidan nei confronti della maggioranza di etnia Haratin. Quello che maggiormente offende chi ritiene che i diritti umani debbano essere riconosciuti a tutti e dovunque, come sancito dalla Dichiarazione Universale del 1948 e dalle successive convenzioni internazionali in materia, è il fatto che nel Paese esiste ancora la schiavitù: la sua abolizione legale, confermata formalmente nel 1981, non è stata seguita dall’abolizione nei fatti. Uomini e donne Haratin sono spesso proprietà di padroni Bidan che li comprano e vendono, li reificano e ne sfruttano il lavoro domestico e nei campi per 15 ore al giorno, per sette giorni la settimana, sotto la minaccia della violenza e della tortura.

La situazione non è molto migliorata da quando nel novembre 2009 la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù, Gulnara Shahinian, visitò la Mauritania, notando che (come riferì nell’agosto successivo al Consiglio per i Diritti umani), “nonostante leggi e programmi [...] di fatto la schiavitù in Mauritania continua ad esistere”. Inoltre, come è stato denunciato da attivisti per l’abolizione, non soltanto gli abusi sessuali sono molto frequenti, ma i figli che nascono da donne schiave sono considerati anch’essi schiavi.

Una particolare interpretazione del Corano sulla base di alcuni libri del XIII secolo e l’esclusione dal sistema scolastico degli Haratin contribuiscono a tale pratica, che deve essere considerata un crimine contro l’umanità. È convinzione diffusa nel Paese che i neri Haratin non siano dei buoni musulmani e solo servendo gli arabo-berberi Bidan possano raggiungere il Paradiso. I neri sono così prigionieri anche dell’ignoranza e del pregiudizio, fondati su una leggenda che prescrive la supremazia dell’uomo bianco sul nero: “Un giorno due uomini, che stavano attraversando il deserto portando con sé ciascuno la propria copia del Corano, furono sorpresi dalla pioggia. Uno dei due repentinamente mise in salvo dall’acqua per prima cosa il Libro Sacro, mentre l’altro impudentemente se ne servì per ripararsi la testa. Costui divenne nero per l’inchiostro sciolto che colava dal libro”. Mentre il primo uomo rappresenta il buon islamico, che sarebbe l’arabo-berbero, il secondo rappresenta il peccatore. Per cancellare la macchia del peccato contro il Corano e riconquistare il Paradiso, ai neri resterebbe una sola possibilità: servire gli arabo-berberi. Questa situazione si è perpetrata nei secoli. Persino i colonialisti francesi (che esercitarono diverse forme di governo del Paese dal 1903 fino alla sua indipendenza nel 1960), benché figli del pensiero laico-illuminista, tollerarono tale situazione in omaggio alla realpolitik e a interessi economici.

L’Ira (Initiative pour le Résurgence du mouvement Abolitionniste), fondata e animata dal 2008 da Biram Dah Abeid che ne è il presidente, lotta per l’abolizione della schiavitù e il rispetto dei diritti umani, anche attraverso la nonviolenza e la disubbidienza civile, secondo il modello di Martin Luther King. Biram ha partecipato alle elezioni presidenziali del 2014 arrivando secondo con circa l’8,6 per cento dei voti; gli Haratin hanno potuto votare in pochi, mentre ad altri è stato impedito di avere i documenti necessari al voto. Più volte incarcerato per motivi politici e costretto all’esilio, Biram gira il mondo tenendo conferenze per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale ed i suoi stessi compatrioti all’estero sul caso Mauritania. Nel 2013 ha ricevuto il Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e il 25 aprile 2017 la rivista “Time” lo ha inserito fra i 100 personaggi più influenti al mondo riconoscendo la sua missione.

La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus) ormai da anni contribuisce alla campagna di sensibilizzazione in Italia e a livello europeo sul caso Mauritania e sostiene la lotta per l’abolizione della schiavitù con convegni, incontri con le istituzioni italiane e seminari presso alcune scuole superiori. Con il presidente nazionale della Lidu, Antonio Stango, nel novembre scorso abbiamo tenuto con Biram un evento pubblico nella nostra sede di Roma; abbiamo quindi promosso iniziative comuni con il Partito Radicale (da sempre attivo su questo fronte, anche con l’impegno personale di Marco Pannella), con i presidenti delle Commissioni per i Diritti umani di Camera e Senato Pia Locatelli e Luigi Manconi e con Emma Bonino; e il 4 maggio a nome della Lidu l’ho incontrato in Senegal, a Dakar. Dopo avergli espresso la nostra solidarietà, ho annunciato che organizzeremo una sua nuova visita a Roma in giugno, dandogli la possibilità di avere altri incontri a vario livello e di rilasciare interviste a giornalisti radiotelevisivi e della carta stampata.

Nel colloquio Biram ha sottolineato che la lotta deve essere nonviolenta, basata sulla pressione internazionale e sulla sensibilizzazione, e ha spiegato che il rispetto dei diritti umani è strada insopprimibile verso la democratizzazione e la migliore distribuzione della ricchezza nel Paese anche attraverso un più equo sfruttamento delle materie prime. Biram ha altresì sostenuto che la nuova Mauritania sarà un vero laboratorio da cui si dovrà partire verso il “Progetto Panafrica”, per arrivare al superamento delle lotte etnico-tribali che insanguinano il continente. Inoltre ha raccontato quanto avvenuto il 1° maggio in Mauritania: l’Ira ha organizzato uno sciopero generale per denunciare la condizione dei lavoratori, con manifestazioni pacifiche; tuttavia la polizia ha infiltrato nei cortei degli operai alcuni provocatori e si è scatenata la violenza, che ha portato a quattro arresti e ad alcuni feriti.

Biram ha consegnato alla Lidu alcune fotografie degli incidenti per farle conoscere nel nostro Paese e ha aggiunto che lo sciopero, durato 24 ore, ha bloccato anche il “Sahara Express”: il treno più lungo del mondo, con i suoi 2,5 chilometri di vagoni, che attraversa i 650 chilometri dell’unica linea ferroviaria del Paese per trasportare ferro dalla miniera di Zouerate al porto di Nouadhibou. Noi della Lidu continueremo a sostenere tutte le iniziative nonviolente perché si giunga all’effettiva abolizione della schiavitù in Mauritania, come in qualsiasi altra parte del mondo, e non faremo mancare il nostro appoggio a chi, come Biram, lotta contro questa che è la più odiosa forma di sfruttamento, anche a rischio del carcere e della stessa vita.

(*) Tesoriere nazionale e presidente del comitato romano della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo

Aggiornato il 10 maggio 2017 alle ore 10:58