La Svezia nell’immaginario collettivo è sempre stato un Paese avanzato, laico e liberale. L’attentato di Stoccolma, avvenuto pochi giorni fa, dovrebbe perlomeno indurre a una riflessione, a fare luce su qualcosa che non ci piace vedere, che riesce particolarmente difficile ammettere ma che acquista oggi un carattere di urgenza rispetto alla drammatica evoluzione che il terrorismo islamico sta avendo e per come si sta diramando nelle nostre società “multiculturali”.

È ormai evidente quanto il multiculturalismo sia stato in realtà una sommatoria di culture, il cui risultato è quello in cui vince il più forte, ovvero una visione etnocentrica e medioevalista della società veicolata dall’islamismo, che si attiene a una versione coranica integralista e in netto rifiuto di una modernità che aspira ad abbattere per instaurare un “nuovo ordine morale” volto alla purificazione del corrotto Occidente. Peculiare è quanto avvenuto in un Paese come la modernissima Svezia, che non ha nemmeno la “colpa” di un passato colonialista (argomento con cui la sinistra giustifica – ormai come un mantra – ogni atto terroristico), che però in nome dell’accoglienza e della multietnicità ha permesso che nascessero periferie con una maggioranza islamica di oltre il 90 per cento, nelle quali si sono inventati una specie di lingua simil-svedese chiamata “Rinkeby Swedish”; che monopolizzano il territorio periferico, dove in strada si vedono pochissime donne, e tutte con il velo, in particolare quelle giovani, mentre le altre indossano il niqab (la tunica integrale che lascia scoperti solo gli occhi).

Si può ragionevolmente sostenere che lì tutti sapessero che, in un tale humus, prima o poi un attentato sarebbe avvenuto. Certamente uno Stato di 10 milioni di abitanti che accoglie 163mila migranti, in maggioranza musulmani e con sommosse periodiche nelle periferie, qualche domanda dovrebbe porsela. Pare però che nonostante questo attentato la volontà sia quella di andare in direzione opposta, ovvero di proseguire con la politica dell’accoglienza indiscriminata, alimentando di conseguenza i bollori dei partiti estremisti come Sverigedemokraterna che è in procinto di diventare il primo partito svedese, esattamente come il Front National di Marine Le Pen in Francia - che ha la stessa situazione nelle periferie - e dove proprio in questi giorni François Fillon ha inaugurato una nuova moschea definita la più grande al mondo.

Ecco servito il piatto della “multiconflittualità”, figlia naturale di un multiculturalismo privo di integrazione basata sull’accettazione dei valori occidentali da parte di una cultura, come quella islamica, che rischia di mettere in seria conflittualità le civiltà occidentali al fine di disgregarle per renderle più fragili attraverso l’imposizione di una visione che ha come peculiarità l’identificazione totale tra religione e politica; è evidente il ritardo e la miopia dei sistemi politici democratici di fronte al rischio di andare – come sostiene il filosofo francese, Alain Finkielkraut – verso due strade: “La sottomissione della società occidentale, o la guerra civile, poiché gli intellettuali europei si attengono alla storia del ventesimo secolo e in particolare la seconda guerra mondiale. Professano la religione dell’umanità per timore di svegliare i vecchi demoni, negano che vi sia una divisione dell’umanità in civiltà. Il multiculturalismo oggi è proposto solo come una semplice ibridazione della musica e della cucina. Si celebra da un lato il multiculturalismo e dall’altro non si prendono sul serio le culture”.

Resta significativo e inquietante il fatto che da quando la Svezia ha deciso di diventare multiculturale i crimini sono aumentati del 300 per cento, gli stupri del 1400 per cento (sic!), collocandosi al secondo posto tra i Paesi con il maggior numero di violenze sessuali al mondo (superato solo dal Lesotho nell’Africa del Sud). La Svezia è oggi un Paese con un’islamizzazione altissima, in molte aree le donne svedesi si tingono i capelli di nero per non essere molestate ma è proibito dichiararlo perché per legge non si possono raccogliere dati “etnici” di chi commette delitti. A Malmö i pochi ebrei residenti sono dovuti fuggire per le aggressioni di stampo antisemita sulle quali il governo tace.

Ora occorre decidere se la politica sia ancora quella attività umana che pensa di poter conoscere, prevedere e decidere per mutare gli eventi, o se al contrario debba limitarsi a registrarli in un rassegnato fatalismo che azzera il futuro nella reiterazione del presente e distorce il passato a improbabile caricatura del presente stesso. L’appello è agli intellettuali, che riabilitino la capacità di comprendere il corso delle cose e non di galleggiare sulle stesse. Calare dal mondo delle idee a quello delle cose, cominciare a camminare con le gambe per terra e con gli occhi al cielo e non sempre viceversa.

Aggiornato il 02 maggio 2017 alle ore 22:57