La Turchia tra Pechino,   Mosca e Bruxelles

Da alcuni anni il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan cerca di crearsi una valida alternativa economica e politica all’accordo di unione doganale che la Turchia ha con l’Unione europea dal 1995 e alle speranze (sempre più flebili) di entrare nell’Ue. Periodicamente, le relazioni tra Ankara e Bruxelles entrano in un trend negativo e la prima ha più volte minacciato di abbandonare i suoi sogni di adesione (oramai diventati incubi) in favore di aspirazioni euroasiatiche che richiamano molto la tradizione e la mitologia turca. In particolare, dal crollo del blocco sovietico la Turchia guarda con interesse a quel mondo turco che storicamente ed etnicamente inizia dalla Mongolia occidentale e finisce nei Balcani, a ridosso dell’Adriatico. In questo senso è da interpretare la costituzione del Türksoy nel 1992 fortemente voluta da Ankara per espandere la propria influenza a est e liberarsi dal pressante giogo delle politiche di adesione europee. Per esempio, oltre le richieste informali di adesione alla Cooperazione di Shanghai (Sco), da inizio anno, Ankara sta considerando positivamente anche l’adesione all’Unione Euroasiatica.

Per dovere di chiarezza è utile ricordare che in ogni caso il commercio con gli Stati dell’Ue rappresenta per la Turchia circa il 50 per cento del totale e che gli investimenti dei Paesi europei rappresentano i due terzi del totale; ma questo dato è in lento calo e sta lasciando spazi interessanti ai Paesi asiatici. Ma non è tutto oro quello che luccica e dietro a questo notevole interscambio economico è bene ricordare che vi sono anche delle controindicazioni che ad Ankara non piacciono: ad esempio, dal territorio europeo arrivano in Turchia moltissimi prodotti di Paesi terzi a cui non sono sottoposti dazi che sarebbero invece applicati se le merci arrivassero direttamente in Turchia e che, viceversa, le merci turche che vanno in questi Paesi terzi sono sottoposte a regime di dazi. Ancora, gli investimenti europei, soprattutto quelli strutturali, sono fortemente condizionati dall’andamento della politica turca dentro e fuori dai propri confini. Questo costante stress (spesso strumentale a particolari interessi politici), come detto, ha più volte spinto Erdoğan a dichiarare pubblicamente la sua volontà di avvicinarsi ad altre organizzazioni internazionali. Non solo da parte di Ankara si è avuto questo interesse ma anche da parte di altre potenze leader sia della Sco che dell’Unione Euroasiatica: da Putin a Nazarbayev fino a Xi Jinping. Questo per pochi ma chiari motivi: anche questi Stati vedono la Turchia come parte di una comune koiné culturale, come un mercato invitante vista la sua rigogliosa classe media e un hub fondamentale per merci e materie prime. In più, tra questi Paesi c’è un clima di fiducia maggiore rispetto a quello che vi è con Bruxelles; a prescindere da quanto questa fiducia sia l’espressione di un sentimento bonario, essa è dovuta principalmente dal fatto che i Paesi dell’Unione Euroasiatica/Sco non hanno la pretesa di influenzare la politica interna ed estera turca e, anzi, hanno come obiettivo quello di garantire la stabilità del potere politico, mettendolo in condizione di poter rispettare i trattati commerciali stipulati con gli Stati terzi cercando di dare loro quanta più continuità e longevità possibile. Per la Turchia la Sco e l’Unione Euroasiatica non rappresentano solo una fonte sicura e in crescita economica, ma anche una fonte di know-how utile per il proprio futuro economico ed energetico. Basti pensare alla cooperazione con la Russia per la costruzione delle centrali nucleari sul proprio territorio.

Certamente, il processo di avvicinamento a queste realtà è lungo e difficile in virtù del forte legame tra la Turchia, Bruxelles e la Nato, ma “business is business” dicono gli americani e Ankara ha molta ragione nel voler continuare a stringere legami economici e politici con questi Paesi. Lo scenario internazionale è oggi molto fluido e nella regione dove si sviluppano l’Unione Euroasiatica e la Sco è in continua evoluzione: la sensazione e il presentimento che si ha dentro e fuori la Turchia è che lo stringere legami con i diversi attori in ballo su questo scacchiere rappresenta più un’opportunità che un pericolo e che, viceversa, guardare troppo verso ovest potrebbe essere nel medio periodo un vicolo cieco per Ankara, soprattutto alla luce della crisi identitaria, economica e politica che sta attraversando Bruxelles.

(*) Associate Analyst think tank “Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:06