Da Geert Wilders una lezione di libertà

Nel giorno delle colate di melassa buonista sul “gigante” Fidel Castro, rifatevi gli occhi leggendo la dichiarazione finale che Geert Wilders (pubblicata anche dal Gatestone Institute), leader del partito olandese della Libertà (Pvv), ha pronunciato davanti ai giudici del tribunale di Schiphol. Wilders è accusato di istigazione all’odio razziale per avere, durante un comizio elettorale, domandato ai partecipanti se avessero voluto più o meno marocchini nel loro Paese e alla risposta corale della folla “meno” avrebbe detto: “Bene, ce ne occuperemo”. Per questa promessa rischia una condanna a due anni di reclusione.

Il processo intentato a Wilders spiega perfettamente perché in Europa siano in tanti a pensare che Castro, criminale sanguinario certificato, sia un santo e il leader del Pvv un demonio. È il mondo alla rovescia contaminato dalla dilagante infezione del relativismo culturale. Essere per l’annientamento di ogni identità nello spirito dell’egualitarismo è ammesso, difendere la diversità, la differenza, l’autonomia e l’indipendenza delle comunità umane è reato. È violazione, si badi bene, non della legge positiva sedimentata nei secoli negli ordinamenti giuridici democraticamente approvati dai rappresentanti del popolo, ma di quelle nuove correnti di pensiero che attraverso la manipolazione fattuale del cosiddetto “diritto vivente” piegano i più alti principi di libertà d’espressione e di pensiero ai desiderata delle élite di potere. È grazie a questa innaturale torsione dello Stato di diritto che si può finire davanti a una corte penale di giustizia per un concetto espresso nel mentre i “buoni” intonano stucchevoli peana in memoria di un tiranno comunista.

Questa non è la scena di una fiaba teatrale partorita dall’immaginazione di Ludwig Tieck: è l’odierna Europa del “politically correct”. Ancora per poco, si spera. Già! Perché a levare la mano contro il volto mostruoso del multiculturalismo sono sempre più cittadini esasperati. Si avrà o no diritto di poter dire liberamente che gli immigrati nei nostri territori sono troppi e si dovrebbe rispedirli indietro? Oppure il solo prospettarlo comporta, in automatico, l’accusa di razzismo? Leggete con attenzione il discorso di Wilders rivolto ai suoi giudici: è alto, nobile, commendevole, degno di un leader. Parla di libertà che sta tutta dentro il più importante dei diritti: quello di parola. “I Paesi Bassi sono sinonimo di libertà. E questo è anche vero, forse soprattutto per chi ha opinioni diverse dall'establishment e fa opposizione. E la nostra libertà più importante è la libertà di parola”. E questa declinazione della libertà gli è tanto più cara perché è l’unica che gli resta visto che da oltre dieci anni è costretto a vivere sotto scorta. Gli islamisti minacciano di ucciderlo per le cose che dice, per il coraggio che ha nel difendere l’identità e l’integrità del suo popolo dall’aggressione cultural-demografica degli allogeni. Nel suo Paese padroni e servi dell’establishment multiculturalista vogliono che taccia. Il capo della Polizia, Joop van Riessen, parlando di lui ha detto: “Fondamentalmente, uno sarebbe tentato di dire: uccidiamolo, sbarazziamoci di lui ora e che non riappaia mai più in pubblico!”.

È forse questo il senso della democrazia che hanno gli “illuminati” del pensiero progressista in Europa? Abbattere il nemico politico con ogni mezzo, per ogni via. Anche quella giudiziaria. A noi italiani questo modo di fare della sinistra finto-democratica dovrebbe ricordare qualcosa. L’Olanda che oggi processa Wilders somiglia all’Italia che ha messo al rogo, in persona o in effigie, i suoi figli migliori sebbene “politicamente scorretti”. Ma il vento sta cambiando. Per quanto tempo ancora queste dannate élite riusciranno a tenere lontano il popolo dal “palazzo d’inverno”? Se fossimo nei panni della cricca di Bruxelles e dei suoi sodali sparsi per le cancellerie d’Europa terremmo pronte le valigie e un biglietto aereo in tasca. Il popolo sta tornando!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:10