Fidel Castro, la fine del dittatore cubano

I quotidiani di questi ultimi giorni sono pieni di ricordi di Fidel Castro. Possiamo rileggere i suoi discorsi, la storia delle sue gesta, gli incontri storici, tantissimi aneddoti. Poche righe sono state spese sulle sue vittime. Il dittatore cubano (perché questo era) è direttamente responsabile per la morte di un numero di vittime ancora da precisare, stimato in 11mila secondo le statistiche più vicine alle fonti ufficiali e 17mila secondo quelle più dissidenti. Sono circa mezzo milione le persone che sono passate almeno una volta nella vita in un carcere cubano, per motivi che vanno dall’appartenenza a un partito o sindacato d’opposizione, alla propria fede cattolica (l’ateismo di Stato era imposto fino al 1992), al proprio orientamento sessuale (l’omosessualità era reato, fino a tempi recentissimi) o al semplice sospetto, una denuncia di un vicino, di un parente, di un rivale in amore o nel lavoro, di un collega.

La rivoluzione cubana, alla fine degli anni Cinquanta, venne scambiata per un moto democratico contro il regime autoritario di Fulgencio Batista. Entro il 1962, come Kronos, anche Fidel Castro aveva divorato tutti i figli della rivoluzione: William Morgan, Humberto Sorí Marin, Huber Matos, lo studente Pedro Luis Boitel, il leader sindacale David Salvador, gli artisti Ernesto Padilla e Reinaldo Arenas, furono incarcerati, esiliati o giustiziati. Erano le prime vittime delle nuove purghe. La repressione venne poi condotta in modo capillare dalla Dse, la polizia segreta, strutturata secondo le linee del Kgb sovietico. Infiltrava le organizzazioni politiche, sindacali e della società civile e colpiva gli elementi anti-castristi dall’interno. La Dse venne affiancata dalla Dem, una capillare rete di informatori e dall’Umap l’equivalente cubano del gulag sovietico: un arcipelago di campi di lavoro e “rieducazione” in cui finirono numerose categorie di “nemici del popolo”.

Le condizioni carcerarie nelle prigioni e nei campi di concentramento erano rinomate per la loro durezza. Le prigioni di La Cabaña all’Avana e Santa Clara divennero immediatamente dei luoghi di esecuzione di massa. I processi erano celebrati da corti speciali “popolari”, non davano alcun diritto alla difesa. A La Cabaña, specie quando era Che Guevara a dirigerla, le esecuzioni proseguivano giorno e notte senza sosta. Anche coloro che furono risparmiati dal plotone di esecuzione finirono spesso nelle “ratoneras”, le piccolissime celle del suo sotterraneo, dove furono letteralmente sepolti vivi. Quando gli esuli cubani tentarono la disperata impresa di sbarcare in armi alla Baia dei Porci, con un riluttante appoggio da parte dell’America di Kennedy, all’Avana migliaia di prigionieri politici furono presi in ostaggio. Le guardie avevano già l’ordine di ucciderli tutti, in caso di vittoria dei dissidenti. Nei campi di prigionia e di lavoro, le condizioni igieniche e fisiche erano ai limiti dell’umano. La terribile testimonianza di Armando Valladares, uno dei più noti sopravvissuti al gulag cubano, parla di continue torture fisiche e psicologiche. Dovette subire lunghi periodi di isolamento fino ad impazzire, venne immerso in celle piene di escrementi, fu letteralmente sepolto vivo nelle segrete, esposto al calore insopportabile di piccole celle in lamiera esposte al sole.

In questo sistema concentrazionario, vennero applicate conoscenze mediche e psichiatriche al servizio della tortura. Farmaci furono somministrati per tenere svegli i prigionieri e far perdere loro ogni capacità di resistenza. Ogni studiata tecnica di umiliazione fu impiegata per far perdere ogni senso dell’umano e della dignità ai dissidenti. Vennero deliberatamente mischiati nelle stesse affollatissime celle i prigionieri politici con i criminali comuni, per motivi psicologici e per sottomettere i primi ai secondi. Buona parte dei prigionieri perse il senso del tempo e del mondo esterno. “Ho passato 10.956 giorni in carcere – racconta il dissidente Mario Chanes, sopravvissuto al gulag – Per anni mi hanno tolto anche la vista del sole. Talvolta il sole me lo immaginavo nero”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08