L’elezione di Trump   e i punti fermi dell’Ajc

Il presidente dell’American Jewish Committee (Ajc), David Harris, ha rilasciato nei giorni scorsi un comunicato che ribadisce i principi e la visione per l’America dell’Associazione globale di sostegno all’ebraismo.

A seguito delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, e alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, è importante ribadire quello che rappresenta l’Ajc. Abbiamo a cuore la nostra grande nazione e la libertà e le opportunità senza precedenti che essa offre, tra cui il prezioso diritto di voto, le elezioni libere ed eque, ed il passaggio fluido dei poteri da un’amministrazione alla seguente. Siamo particolarmente orgogliosi del motto americano “E pluribus unum”. L’Ajc è infatti da sempre un’organizzazione appassionatamente pluralista. La forza della nostra nazione deriva in maniera importante dal suo ricco amalgama di provenienze razziali, religiose ed etniche differenti. Aspiriamo a vivere in una società che non si limiti solo a “tollerare” le diversità, ma le accolga in quanto le considera una componente essenziale di ciò che siamo in quanto nazione. Nelle nostre relazioni con le altre comunità cerchiamo di migliorare la comprensione e il rispetto reciproco, e di coalizzare le coscienze nella difesa dei valori condivisi. Sappiamo bene che le campagne elettorali spesso dividono la nostra nazione. I periodi che seguono le elezioni dovrebbero essere dedicati alla riunificazione. È vero che solamente la metà della popolazione elegge il candidato vincente; ma una volta eletto, egli rappresenta il Paese per intero.

Durante le campagne elettorali spesso viene fuori una certa retorica che serve ad attrarre alcune fasce di elettori, ma che è composta in realtà di frasi ad effetto, pronunciate a caldo nell’intenzione di compiacere le masse. La storia ci dimostra che non tutte le promesse fatte nelle fasi più impegnative delle campagne elettorali diventano poi realtà politiche, e questo è vero sia per i democratici che per i repubblicani. È necessario quindi capire come prevede di governare il candidato vincente, prima di esprimere giudizi radicali basati in gran parte - se non esclusivamente - sul linguaggio delle primarie e delle campagne elettorali.

Il presidente Barack Obama ha dichiarato recentemente: “È importante per noi lasciare (che il neo-presidente Donald Trump, ndr) che prenda le sue decisioni. Il popolo americano giudicherà poi, nel corso dei prossimi due anni, se ha apprezzato quello che ha visto”. Noi siamo d’accordo con questo approccio. Possiamo approvare o meno la scelta di ogni singolo componente della squadra, ma dobbiamo andare avanti nella convinzione iniziale che sarà il Presidente ad indicare la direzione da prendere per la nostra nazione - e chi lavora per lui deve seguirne la guida.

Allo stesso tempo, le nomine e gli incarichi inviano segnali importanti, tanto più quando, a causa della mancanza di esperienze di governo del neo-presidente Trump, si è ancora in una fase di notevole incertezza sulla direzione che prenderà il nostro Paese dopo il suo insediamento, che avverrà il 20 gennaio. Esortiamo il neo-presidente Trump a prendere in considerazione le preoccupazioni di molti tra le minoranze che sono comprensibilmente allarmati circa la retorica polarizzante e a tratti provocatoria che è stata usata da alcuni durante la recente campagna elettorale. Lo sollecitiamo rispettosamente a cogliere le prime opportunità, con le parole e nei fatti, per sottolineare il suo impegno verso il benessere e la protezione di tutti i cittadini della nostra nazione. Crediamo fortemente nell’impegno internazionale degli Stati Uniti. Mentre c’è chi potrebbe trovare allettante auspicare il ritiro degli Usa dalla scena internazionale, la Storia ha ampiamente dimostrato quanto possa essere elevato il prezzo di tali opinioni. Quando l’America si chiude dentro se stessa, lascia un vuoto enorme a livello internazionale, che viene riempito da altri attori, statali e non statali, con valori ed obiettivi spesso diametralmente opposti ai nostri. Non dobbiamo lasciare che questo accada. A nostro avviso è particolarmente importante riaffermare l’impegno della nostra nazione verso gli obblighi dei trattati che abbiamo sottoscritto e verso i nostri alleati, a cominciare dai nostri partner più naturali e affini, e cioè le altre nazioni democratiche di ogni Continente, la struttura politica unica della Ue e l’architettura di sicurezza della Nato.

In questo spirito, riteniamo che il rapporto tra Stati Uniti ed Israele incarni i valori più alti dell’America, proteggendo allo stesso tempo i nostri interessi vitali in Medio Oriente. Anche Egitto e Giordania, vicini di Israele e partner nella pace, sono tra i nostri partner essenziali nella regione, così come lo sono gli alleati dell’America, e futuri partner nella pace con Israele, nel Golfo Persico e del Nord Africa. Abbiamo a lungo sostenuto le antiche aspirazioni di Israele per una pace duratura con tutti i suoi vicini, a cominciare dai palestinesi, e il ruolo indispensabile degli Stati Uniti nella ricerca di questo accordo. Israele ha dovuto di volta in volta affrontare rifiuti, incitamenti alla violenza e tentativi di delegittimazione. Attendiamo il giorno in cui i palestinesi porgeranno una mano tesa per la pace ed esortiamo Israele e la nuova amministrazione degli Stati Uniti di non perdere di vista tale possibilità - e l’accordo a due Stati che ne deriverebbe.

Siamo sempre stati ottimisti circa la promessa dell’America. Abbiamo sempre creduto nella capacità di ripresa degli Stati Uniti ed il suo potere di rigenerarsi. Abbiamo sempre sostenuto un’America che si distingue per la tutela della dignità umana. E abbiamo sempre sostenuto che il ruolo unico dell’America nel mondo è costruito sulla forza dei nostri valori tanto quanto sulla forza del nostro esercito e della nostra economia. Alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, una ricorrenza particolarmente significativa per tutti noi, rendiamo grazie, come sempre, per il dono dell’America nelle nostre vite.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:06