Toccherà a Shavkat Mirziyoyev, già primo ministro, traghettare l’Uzbekistan alle elezioni presidenziali del prossimo dicembre dopo la morte, due settimane fa, dello storico presidente Islom Karimov. All’attuale premier uzbeko, Camera e Senato hanno infatti affidato la presidenza ad interim per colmare il vuoto politico lasciato da Karimov, in un momento in cui si potrebbe aprire un pericoloso nuovo “Grande Gioco” che coinvolge tutta l’Asia Centrale.
Una figura, quella di Karimov che ha guidato in modo energico la repubblica uzbeka fin dal 1991, anno dell’indipendenza dall’ex Unione sovietica. Nato nella meravigliosa città di Samarcanda, è stato il timoniere di un Paese con poco più di 30 milioni di abitanti, ma di lontane e profonde radici storiche e culturali. Jolanda Brunetti, ambasciatrice a Tashkent nella seconda metà degli anni Novanta lo ricorda così: “Mi colpì subito la sua grande intelligenza e la sua sensibilità politica. Era un leader molto informato e molto attento agli interessi del suo Stato. La sua visione della politica internazionale e delle condizioni dell’area era ineccepibile. Meno avvertito anche se comprensibile, il suo desiderio di controllare l’economia dell’Uzbekistan ad evitare dipendenze improprie, ma naturalmente lo sviluppo iniziale, forse caotico, ne soffrì molto. Importante il suo interesse ad assicurare un ruolo attivo alle donne nella società del Paese”.
Ma l’Uzbekistan è anche un crocevia di fondamentale importanza per quel percorso energetico e di infrastrutture che si innerva lungo il vasto continente eurasiatico. Una “Via della Seta 2.0” che, partendo da Pechino, ripercorre a ritroso il viaggio del nostro Marco Polo, giungendo sino al cuore dell’Europa. Un autentico network in grado di collegare Oriente e Occidente, attraverso una fitta rete di vie di comunicazione su gomma e su rotaia, ma anche intrecci di pipeline e gasdotti che rivoluzioneranno il futuro delle relazioni commerciali e diplomatiche tra Asia ed Europa come è stato evidenziato nel volume “Le nuove reti eurasiatiche” pubblicato dal “Nodo di Gordio” con il sostegno del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.
La collocazione geografica dell’Uzbekistan lo pone sotto i riflettori, in quel “Cuore del Mondo” che è l’Asia centrale. La sua posizione strategica – pur non troppo florida da un punto di vista economico – ne ha reso un Paese cruciale nella lotta al terrorismo islamico non solo perché al suo confine meridionale si trova il passaggio militare più importante verso l’Afghanistan ma anche perché – grazie alla lungimiranza del presidente Karimov – furono prese, sin dalla metà degli anni Novanta e nell’indifferenza ed incomprensione globale, tutte le contromisure necessarie per fare fronte al nascente rischio di un radicalismo di matrice islamica proveniente dall’Africa e dall’Asia.
“Per quanto riguarda le scelte di politica economica portate avanti da Karimov – chiarisce l’ambasciatrice Brunetti – non si ricollegavano alla voluta indipendenza da Mosca e Washington, ma al desiderio di mantenere sotto controllo l’economia del Paese attraverso una politica dei piccoli passi che non permetta un indebitamento eccessivo e quindi la possibilità di organizzazioni internazionali come il Fondo monetario di interferire con la politica estera e interna del governo”.
Un’indipendenza, fortemente cercata da Karimov tanto nei confronti di Mosca quanto degli Usa – visti i molteplici tentativi di attirare il Paese nella sfera di influenza di Washington – che il popolo uzbeko dovrà saper mantenere a partire dalle elezioni presidenziali di dicembre.
(*) Chairman del think tank “Il Nodo di Gordio”
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:59