I giovani e il confronto con l’Islam

L’Europa e il mondo occidentale sono in stato perenne di shock, un trauma storico che colpisce soprattutto la generazione Erasmus che vede nella frantumazione delle libertà di movimento e di conoscenza il pericolo maggiore, un ritorno ai nazionalismi e all’idea degli Stati nazionali chiusi e statici.

Il problema della contemporaneità è lo scontro in atto nel mondo musulmano tra coloro che vedono nella riforma islamica il futuro e coloro che osservano come atto di tradimento ogni singola proposta di riforma. Noi giovani europei non possiamo sottrarci da tale dibattito, non possiamo ignorare ciò che sta avvenendo all’interno del mondo islamico e abbiamo il dovere politico e sociale di ascoltare ciò che i rappresentati del riformismo islamico chiedono ed esprimono e solidarizzare con i dissidenti ad ogni regime teocratico e totalitario. Oggi una nuova cortina di ferro è stata eretta da una parte dell’Islam contro il resto del mondo e i nuovi eroi sono i dissidenti, gli apostati, gli eretici e i ribelli del monto islamico stesso. L’Europa dovrebbe offrire sostegno finanziario, morale e politico a questi amici della civiltà occidentale e l’impulso al cambiamento delle nostre politiche potrebbe esservi solo da quella giovane generazione che geograficamente e antropologicamente ha fatto dell’incontro culturale e della conoscenza globale un paradigma di visione all’insegna dello stato di diritto e dei diritti umani.

Innanzitutto, dobbiamo ricordare che molte dissidenti del mondo islamico sono donne. Recentemente, Giulio Meotti del “Gatestone Institute”, ha elencato i nomi delle numerose donne intellettuali e attiviste per i diritti umani che rischiano quotidianamente la vita per le proprie idee: Shukria Barakzai, una giornalista e parlamentare afghana, ha dichiarato guerra ai fondamentalisti islamici dopo che la polizia religiosa dei talebani l’aveva picchiata perché aveva osato camminare senza accompagnatore maschile. Un attentatore suicida si è fatto esplodere vicino alla sua auto uccidendo tre persone. Kadra Yusuf, una giornalista somala, si è infiltrata nelle moschee di Oslo per denunciare gli imam, soprattutto riguardo alle mutilazioni genitali femminili, che non figurano nemmeno nel Corano o nei detti di Maometto. In Pakistan, Sherry Rehman ha invocato “una riforma della legge pakistana sulla blasfemia”. Ella rischia ogni giorno la vita. È bollata dagli islamisti come “degna di essere uccisa” perché donna, musulmana e attivista laica. Anche la scrittrice e psichiatra siro-americana Wafa Sultan è stata bollata come “infedele” che merita di morire.

In Europa, invece, attenzione deve essere dedicata all’emarginazione dei giovani europei, migranti o non, che non riescono più a credere in una prospettiva di progresso del continente e nell’estremismo islamico depongono le loro speranze. Un giovane giornalista francese di origine araba, rimasto rigorosamente anonimo, ha studiato da vicino cosa significa essere soldato di Allah, raccontando dall’interno chi sono i giovani europei fanatizzati dallo Stato islamico. Riporta tale giornalista: “La religione per loro è solo un pretesto. Se ne fregano alla grande, della religione. Te lo dicono anche, senza rendersene conto. Se credono in Allah, è solo perché Allah gli ha promesso le vergini. E basta. Credono di rispettare la religione, ma non hanno né rispetto, né religione”. La volontà di lanciarsi in attacchi estemporanei denota la mancanza di una qualsiasi strategia. “Quando ne hai una”, riflette il giornalista francese, “è perché in qualche modo aspiri a cambiare il mondo, nel bene o nel male. Quelli di Daesh non hanno alcuna intenzione di cambiare il mondo. Se ne strafregano del mondo”.

Tra le problematiche evidenziate c’è che l’immaginario dello Stato islamico non seduce solamente gli uomini. Durante l’inchiesta, il giornalista ha potuto incontrare molte ragazze, per lo più minorenni. Ricorre d’obbligo la domanda: che fare? I giovani dovrebbero esigere risposte concrete sulle scelte politiche in materia di sicurezza e multiculturalismo, impegnandosi ad elaborare delle proposte che incentrino l’attenzione sullo stato di diritto e la tutela dei diritti umani. Nostro compito è quello di ascoltare anche gli attori della diplomazia internazionale e far nostre le loro preoccupazioni.

Emblematico è quanto detto recentemente dall’Ambasciatore del Marocco in Italia, S.E. Hassan Abou Ayoub: “L’Europa vive la dialettica della paura. Anche noi abbiamo paura dell’Europa. E la Ue ha paura di noi. Questo significa che il campo strategico è dominato dal fattore emozione piuttosto che dal coraggio. L’atteggiamento dei Paesi europei di fronte alle migrazioni è fatto come di reazione emozionale e non è lì che risiede il significato profondo del progetto europeo. È in contraddizione con il tratto di Lisbona e con altri trattati europei. L’Europa ha perso di vista il progetto europeo. I radicalismi europei, ovvero i super conservatori, a destra come a sinistra, stanno rovinando il progetto europeo. Perché il progetto europeo non ha dato risposta al cittadino europeo per il suo futuro. Alla sua vita quotidiana. Si tratta di riprendere il percorso dei padri fondatori dell’Europa e di mettere avanti a tutto la visione d’Europa”.

Come giovani bisogna ritornare alle radici della nostra unione, ribadendo i valori dello stato di diritto e dei diritti umani contro tutte le paure emergenziali e securitarie, affermando il diritto alla conoscenza affinché si possa comprendere realmente e seriamente i fenomeni sociali transnazionali che caratterizzano la nostra contemporaneità storica.

(*) Membro del Gruppo di lavoro del Forum Nazionale dei Giovani “Carcere e diritti umani”, componente del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino e della Lidu Onlus

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:11