Theresa May,  premier per l’unità

Dopo la Brexit, la nuova premier Theresa May, la prima donna dopo Margaret Thatcher alla guida del Regno Unito, è l’ideale per governare un paese diviso, riportandolo all’unità nazionale. “One Nation”, il suo slogan programmatico, si sposa perfettamente con il suo profilo e con la composizione del suo esecutivo. Per chi, nell’Ue, temeva strappi reazionari, protezionisti o addirittura xenofobi, la premiership della May, una conservatrice pragmatica e moderata, dovrebbe giungere come una lieta notizia.

“Brexit vuol dire Brexit”, ha dichiarato nel corso della votazione per la leadership nel Partito Conservatore, incominciata subito dopo l’annuncio delle dimissioni di David Cameron. Dopo il referendum, parlando a nome di tutti i conservatori e ora anche a nome di tutti i cittadini britannici, la May dichiara di aver accettato l’esito del referendum e di volerlo mettere in pratica, “negoziando la miglior soluzione possibile per il Regno Unito nel momento in cui lasciamo l’Ue e forgiamo un nuovo ruolo per noi nel mondo”. Già dalle nomine dei ministri del suo governo, ha dimostrato di fare sul serio, creando un ministero ad hoc per la Brexit affidato a David Davis, conservatore liberale ed euroscettico della primissima ora. E poi, sorprendendo la stampa di tutto il mondo, ha nominato Boris Johnson agli Esteri. L’ex sindaco di Londra, protagonista della campagna per l’uscita dall’Unione, era stato eliminato dalla competizione per la premiership con un colpo di mano (meglio dire: un intrigo) del suo compagno di partito e di corrente Michael Gove, ex ministro della Giustizia. Gove ha pagato caro questo suo machiavellismo (sottrarre tutti i voti chiave a Johnson all’ultimo momento) ed è stato bocciato dai membri del partito quando si è trattato di scegliere il nuovo leader e premier. Indirettamente ha spianato la strada alla May e allo stesso Johnson. Che questa fosse una manovra voluta o meno, fatto sta che ora siamo di fronte a un vero governo di unità conservatrice, oltre che di unità nazionale, capeggiato da una Remainer convertita alla Brexit e di un ministro degli Esteri che aveva sempre fatto campagna per l’uscita.

La nuova premier unisce idealmente anche le anime di destra e di sinistra nel partito. E’ sicuramente di “destra” sui temi scottanti del momento: la lotta al radicalismo islamico e il controllo dell’immigrazione. La sua più importante carica è stata quella di ministro degli Interni sotto il governo Cameron. Ha usato il pugno di ferro contro il fondamentalismo islamico, ottenendo Commissione Islamica dei Diritti Umani il premio “Islamofoba dell’anno 2015”, ma garantendo più sicurezza al Regno Unito. Il suo maggior successo è stato l’espulsione di Abu Qatada, oltre che l’estradizione negli Usa di Talha Ahsan. Per questo è entrata direttamente in conflitto con la Convenzione Europea dei Diritti Umani (Cedu). “La Cedu – aveva dichiarato in quell’occasione – può legare le mani al Parlamento, non contribuisce per niente alla nostra prosperità, in compenso ci rende meno sicuri impedendoci l’espulsione di pericolosi individui stranieri. Al contrario non fa nulla per cambiare le abitudini di governi come quello della Russia, quando si tratta di difendere i diritti umani”. Benché fosse per l’Unione, era comunque dell’idea di ritirare il Regno Unito almeno dalla Cedu: “A prescindere dall’esito del referendum sull’Ue, la mia idea è questa: se vogliamo riformare la legge sui diritti umani in questo Paese, non è l’Ue che dobbiamo lasciare, ma la Cedu e la giurisdizione della sua corte”.

Queste prese di posizione, oltre agli altri metodi adottati per combattere il fondamentalismo islamico (anche culturali, come la “promozione dei valori britannici) le hanno valso il nomignolo di “lady di ferro”. Al contempo preoccupano i media progressisti come il The Guardian e l’Independent che mettono in dubbio la tenuta della garanzia dei diritti umani sotto il suo governo. Forse potrebbero essere rassicurati dalla presenza, nel suo governo, del ministro della Brexit, David Davis, che ha battagliato per anni in difesa dei diritti civili dagli abusi di potere, anche dell’antiterrorismo. I laburisti temono anche una deriva isolazionista sul tema dell’immigrazione, dove la May si è dimostrata inflessibilmente a favore di un forte controllo e anche più “a destra” rispetto ai suoi colleghi di governo. Si è opposta alla politica di allargamento dell’Ue ad Albania, Serbia e Turchia: “Ci dobbiamo chiedere se è corretto che l’Ue debba semplicemente continuare ad espandersi, conferendo a tutti i suoi nuovi Stati membri tutti i diritti della membership”.

La stessa Theresa May, che è figlia di un vicario anglicano e lei stessa è una cristiana praticante, è più di “sinistra” sulle questioni sociali. “Se sei nato povero – diceva prima della sua elezione – morirai mediamente nove anni prima degli altri. Se sei nero, sarai trattato molto più duramente dalla giustizia criminale rispetto a un bianco. Se un ragazzo bianco in una famiglia meno abbiente, avrai meno possibilità degli altri di arrivare all’università. Se frequenti una scuola statale, avrai meno probabilità di arrivare al vertice della professione per cui sei stato educato. Se sei una donna, guadagnerai sempre meno di un uomo. Se soffri di disagi mentali, molto spesso non avrai una mano ad aiutarti”. Questo suo ragionamento da conservatrice compassionevole è stato confermato dal suo primo discorso da premier, appena ricevuto l’incarico dalla regina Elisabetta II. Rivolgendosi “direttamente al popolo”, ha assicurato: “Il governo che ho formato sarà guidato non dagli interessi di pochi privilegiati, ma dai vostri. Noi faremo il possibile per garantirvi un maggiore controllo sulle vostre vite. Quando approveremo nuove leggi, non ascolteremo i potenti, ma voi. Quando si parlerà di tasse, non daremo la priorità agli interessi dei più ricchi, ma ai vostri. Quando si parlerà di opportunità, non consolideremo i vantaggi dei pochi fortunati, ma faremo quanto è possibile per aiutare tutti voi, indipendentemente dalla loro origine, ad arrivare lontano tanto quanto il vostro talento ve lo permetterà”.

Da un punto di vista liberale, tuttavia, non c’è che constatare che queste dichiarazioni programmatiche siano lontanissime dalla filosofia di Margaret Thatcher. Il mix di durezza sui temi della sicurezza e compassione su quelli economici/sociali, ricorda più la destra sociale europea che non quella liberale di tradizione britannica. Sperando che l’esperienza futura smentisca queste premesse teoriche, sta di fatto che, in un Regno Unito che sta ridisegnando una sua nuova identità, le premesse non brillano per la libertà individuale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:04