I musulmani russi dell’Isis

I terroristi che hanno colpito l’aeroporto di Istanbul, la scorsa settimana, erano russi; venivano da Kirghizistan, Uzbekistan e Daghestan, regioni periferiche della Federazione Russa a maggioranza musulmana ed erano ex combattenti in Cecenia contro le truppe inviate da Mosca. Sarebbero migliaia i jihadisti dell’Isis con passaporto russo e a detta degli esperti sarebbero i più feroci e i meglio addestrati. I servizi segreti russi conoscono l’identità di molti tra loro, perché sono ricercati anche dalle autorità di Mosca come pericolosi criminali.

L’Islam rappresenta la seconda religione per diffusione in Russia, concentrata prevalentemente tra le minoranze di origine turca presenti all’interno della Federazione. Le stime parlano di circa 27-30 milioni di musulmani e la crescita della comunità ha visto dei picchi esponenziali negli ultimi anni. L’aumento è dovuto in parte alla forte immigrazione proveniente dagli Stati ex-sovietici dell’Asia centrale a maggioranza musulmana, soprattutto dall’Azerbaijan, dal Kazakistan e dal Kirghizistan e in parte all’alta natalità delle popolazioni russe storicamente musulmane che stanno oggi crescendo in percentuale più elevata rispetto a quelle di etnia slava. Negli ultimi anni, poi, diversi russi si sono convertiti all’Islam. I russi slavi hanno tassi di natalità pari a quelli europei, con 1,4 figli per ogni donna, con record negativo a Mosca, dove le donne cristiane hanno in media 1,1 figli. I tassi di mortalità dei russi cristiani, anche a causa della diffusissima piaga dell’alcolismo, eguagliano ormai quelli dei Paesi africani, con una aspettativa di vita per gli uomini che si sta sempre più abbassando verso la soglia dei 65 anni.

Al contrario, le donne musulmane russe hanno in media 2,3 figli, con un bassissimo numero di aborti rispetto alle cristiane. A Mosca, le donne tartare hanno in media 6 figli mentre quelle cecene e ingusce ne hanno 10. Nelle repubbliche russe a maggioranza musulmana del Distretto Federale del Caucaso Settentrionale, che include Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Ossezia del Nord, Stavropol e Circassia, l’estremismo islamico cerca da anni di costruire propri santuari. I focolai di crisi sono la Cecenia e il Daghestan. La Cecenia, martoriata da quasi quindici anni di guerra civile, tra separatisti musulmani e truppe fedeli a Mosca, ha visto centinaia di migliaia di morti e il paese completamente distrutto. Attualmente il capo della Repubblica della Cecenia è Ramzan Kadyrov, fedele alleato del presidente Putin. Il suo governo è però di fatto una dittatura che non garantisce i diritti civili e reprime duramente gli oppositori al regime. Kadyrov viene accusato di aver compiuto per mezzo del suo esercito privato assassinii, stupri, rapimenti e tortura sistematica.

Il Daghestan è ricco di gas e di petrolio e per Mosca ha un’importanza strategica. È anche però il rifugio e la base di molti jihadisti che hanno combattuto in Cecenia. Dal 1999 è in corso una guerra a bassa intensità tra jihadisti e truppe russe. I soldati inviati da Mosca sono oltre sessantamila. Gli islamisti wahabiti sono stati finanziati e equipaggiati da sauditi e altri sponsor arabi dei paesi del Golfo. Il loro primo capo è stato Shamil Basaev, leader dell’ala più radicale dell’insurrezione islamista anti-russa durante le guerre cecene. Fu lui a ideare l’azione terroristica al teatro Dubrovka di Mosca del 2002 e della scuola di Beslan del 2004, dove furono uccisi decine di bambini innocenti. Le forze speciali russe lo hanno eliminato il 10 luglio 2006, ma molti dei suoi uomini sono ancora in circolazione e hanno aderito all’Esercito Islamico. In Daghestan non si combatte tutti i giorni ma periodicamente ci sono attentati, raid di guerriglieri e risposte militari russe; il conflitto è costato la vita a dodicimila persone in quindici anni, la maggior parte dei quali erano civili, molti bambini. I guerriglieri wahabiti, grazie alla loro propaganda ideologico-politica nelle fasce politicamente più arretrate della società daghestana hanno reclutato decine di giovani che sono stati inviati in Siria e Iraq a combattere per l’Isis.

Sarebbero dunque i guerriglieri con passaporto russo a riempire le fila dell’esercito del Califfo nero, sostituendo gli arabi e i nord-africani che stanno scappando sotto l’offensiva degli eserciti regolari di Damasco e Baghdad e dei bombardamenti aerei delle forze della coalizione internazionale. Ecco perché il contributo militare della Russia appare sempre più fondamentale per distruggere l’Isis; solo i generali di Putin che hanno combattuto in Cecenia e Daghestan conoscono le tattiche e il pensiero dei russi musulmani al soldo del Califfo nero.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03