Turchia-Israele: la strana alleanza

I terroristi dell’Isis hanno colpito l’aeroporto di Istanbul, uccidendo decine di civili innocenti e seminando il panico, con il chiaro intento di inviare un messaggio forte al presidente Recep Erdoğan. Tra le mosse che i terroristi rimproverano a quello che fino a pochi mesi fa era stato un ambiguo interlocutore, c’è sicuramente l’accordo che la Turchia ha firmato con Israele nei giorni scorsi, destinato a cambiare gli scenari in Medio Oriente.

A Roma, divenuta per un giorno la capitale della diplomazia mondiale, si è concluso l’ultimo atto del negoziato che andava avanti da anni, con i buoni auspici della Casa Bianca che per suggellare la storica intesa ha inviato nella nostra capitale il Segretario di Stato, John Kerry. Per il capo della diplomazia statunitense, l’accordo è un passo importante che porterà conseguenze positive in Medio Oriente e nella lotta all’Isis. La Turchia, membro della Nato, e Israele sono alleati e partner strategici di Washington nella regione. Ankara e Gerusalemme hanno deciso di normalizzare le loro relazioni dopo sei anni di interruzione. I rapporti turco-israeliani si erano deteriorati il 31 maggio del 2010, quando una flottiglia di attivisti pro-palestinesi, conosciuta come la Freedom Flotilla, trasportante aiuti umanitari ed altre merci, tentò di violare il blocco imposto da Israele su Gaza, dopo i lanci di razzi dalla Striscia verso il territorio israeliano. Una delle navi della flottiglia, la “Mavi Marmara”, era turca e a bordo si trovavano gli attivisti di un’organizzazione pro-palestinese di Istanbul. Le forze speciali israeliane dell’unità di elite Shayetet 13 intercettarono la nave in acque internazionali e nell’operazione rimasero uccisi 10 turchi ad opera dei soldati israeliani.

Da molti Paesi si levarono reazioni internazionali di condanna. Ankara definì l’azione israeliana “terrorismo di stato”, richiamò immediatamente il proprio ambasciatore a Tel Aviv e dichiarò persona non grata il rappresentante israeliano. Ne nacque un contenzioso internazionale che si è trascinato per anni davanti a tribunali internazionali, con diverse risoluzioni delle Nazioni Unite.

In seguito ai negoziati finalmente avviati tra le parti, su mediazione americana e del Segretario generale dell’Onu, la Turchia aveva stabilito tre condizioni per la normalizzazione delle relazioni; Israele avrebbe dovuto porre pubbliche scuse per l’assalto, avrebbe dovuto provvedere ad un risarcimento per le vittime e avrebbe dovuto rimuovere il blocco di Gaza. Israele aveva presentato le scuse ufficiali nel 2013, ma le tensioni si erano riaccese l’anno successivo con uno stop dei negoziati in seguito alla nuova offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Il primo atto ufficiale della normalizzazione delle relazioni sarà il ritorno nei prossimi giorni ad Ankara ed a Tel Aviv dei due ambasciatori. Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la ripresa dei rapporti con la Turchia, che agli inizi degli anni duemila era stato partner privilegiato di Israele nella regione, avrà conseguenze molto positive per la situazione in Medio Oriente e darà nuovo impulso all’economia israeliana. La Turchia potrà diventare, per Netanyahu, sbocco naturale per le esportazioni del gas che Israele estrarrà dai grandi giacimenti scoperti davanti alle proprie coste. Per il premier turco Binali Yildirim, raggiante per il primo successo ottenuto da quando ha assunto l’incarico, l’accordo rappresenta una “straordinaria vittoria diplomatica” per la Turchia, un “passo importante” dopo lunghi e complessi negoziati.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, altro grande sponsor della riconciliazione, ha definito l’intesa un “faro di speranza” per la stabilità e la pace in Medio Oriente. Se le scuse ufficiali sono arrivate ed i risarcimenti ai parenti delle vittime sono per strada, Israele non sarebbe ancora disponibile alla rimozione totale del blocco sulla Striscia di Gaza, necessario per il governo di Gerusalemme ad impedire l’ingresso di armi per i gruppi più estremisti di Hamas. Secondo la Banca Mondiale e le Nazioni Unite, il blocco marittimo, terrestre ed aereo di Israele ha portato la fragile economia della piccola enclave palestinese, incuneata tra Egitto, Israele e il Mediterraneo, sull’orlo del baratro.

Per rassicurare i palestinesi, preoccupati di perdere l’appoggio fin qui avuto dai turchi, Erdogan ha voluto perciò incontrare di persona il capo dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, e il leader di Hamas, Khaled Meshaal. Il presidente turco ha anche ottenuto da Netanyahu l’autorizzazione a far arrivare nei prossimi giorni 10mila tonnellate di aiuti umanitari ai palestinesi della Striscia di Gaza, via terra attraverso il porto israeliano di Ashdod. In cambio Erdogan ha promesso il suo impegno con Hamas a far restituire i corpi di alcuni soldati uccisi nel 2014 e al rilascio di due giovani israeliani che sarebbero nelle mani del gruppo palestinese. Finalmente buoni intendimenti sul cammino verso la pace in Medio Oriente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:10