Migranti: patto globale  di Ban Ki-moon

“È tempo di costruire ponti e non muri tra i popoli”. Lo ha detto Papa Francesco, lo hanno ribadito statisti e uomini di governo illuminati nei quattro angoli del pianeta e lo ha rilanciato in questi giorni il Segretario generale delle Nazioni Unite, il settantunenne sudcoreano Ban Ki-moon, presentando al Palazzo di Vetro di New York il rapporto sui movimenti migratori.

I rifugiati e i migranti – secondo il capo delle Nazioni Unite – non devono essere guardati come una minaccia, come invece vorrebbe sostenere più di un politico ultra-conservatore in Europa, cavalcando la paura e l’ignoranza delle fasce più deboli delle popolazioni occidentali, spingendole all’odio per gli stranieri, all’avversione contro tutto ciò che non appartiene alla propria nazione o alla propria etnia, in altre parole alla xenofobia, per negare l’accoglienza ai profughi; quelle migliaia, ormai milioni di disperati, costretti a lasciare le loro terre di origine per fuggire a guerre o crisi economiche o emergenze sociali, possono invece contribuire alla crescita e allo sviluppo dei Paesi di accoglienza, quando vengono integrati, in sicurezza e dignità. Per questo servono, per il Segretario generale, nuove misure per promuovere l’inclusione sociale ed economica dei migranti.

Ban Ki-moon propone dunque l’adozione di un patto internazionale sulla ripartizione delle responsabilità tra tutti i Paesi del mondo, per dare finalmente risposte concrete ed unitarie a quello che è divenuto ormai “un fenomeno globale”. Ban Ki-moon suggerisce che gli Stati, nel numero più esteso possibile e non i soliti pochi, accettino ogni anno di accogliere e di inserire adeguatamente nelle rispettive società il 10 per cento del numero totale dei rifugiati.

I numeri registrati dal commissariato per i rifugiati dell’Onu, Unhcr, riportano che nel corso del 2015 sono stati oltre 60 milioni nel mondo le persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa di guerre o di emergenze economico-sociali. Il totale globale dei rifugiati, che un anno fa era di 19,5 milioni, ha superato a partire da metà del 2015 i 20 milioni e i numeri salgono rapidamente di mese in mese: un essere umano ogni 122 è stato costretto ad abbandonare la propria casa. Oltre un milione di persone hanno attraversato nel 2015 il Mediterraneo come rifugiati e migranti. Rispetto alle cifre registrate nel 2000, l’aumento è stato di oltre il 41 per cento.

Di fronte a questa emergenza planetaria, che rischia di diventare una bomba sociale fuori controllo, dal Palazzo di Vetro che sorge sull’East River, si è alzato forte l’appello del Segretario generale affinché la comunità internazionale faccia di più, e in fretta, per combattere contrabbandieri e trafficanti, per salvare e proteggere le persone che sono costrette a scappare per sopravvivere. L’impatto principale di questa ondata umana si riversa in primo luogo su pochi Paesi, peraltro non ricchi o particolarmente sviluppati: è così che Turchia, Pakistan, Libano, Iran, Etiopia, Giordania, Kenya e Uganda ricevono più della metà dei rifugiati. Anche sul fronte del finanziamento ai piani di accoglienza delle organizzazioni internazionali la lista dei Paesi donatori è sempre troppo limitata e i fondi sempre insufficienti.

Ban Ki-moon spera di far adottare il “patto globale” al vertice convocato dalle Nazioni Unite il 19 settembre prossimo a New York, cui seguirà il 20 settembre la conferenza dei donatori ospitata dal presidente Barack Obama a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In quell’occasione i Paesi potranno annunciare il numero di rifugiati che sono disposti ad accettare e qualsiasi altra forma di assistenza che possono o intendono fornire, secondo quello che dovrebbe diventare il leitmotiv del piano onusiano: “Responsabilità condivisa”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07