La settimana decisiva per Dilma Rousseff

I prossimi giorni saranno decisivi per le sorti della carriera politica della presidentessa brasiliana Dilma Rousseff e per lo stesso futuro della giovane democrazia nel più grande Paese dell’America Latina.

Oggi, infatti, gli 81 senatori brasiliani saranno chiamati a decidere a maggioranza semplice il processo per l’impeachment a carico del primo presidente donna nella storia del Brasile, dopo che nei giorni scorsi la commissione speciale del Senato, incaricata di verificarne l’ammissibilità, aveva votato a favore della proposta con un risultato schiacciante di 15 a 5.

Alla presidentessa i senatori contestano la responsabilità di aver autorizzato false dichiarazioni del ministero federale del Tesoro e delle principali banche pubbliche del Paese per nascondere l’entità del deficit di bilancio del 2014, anno della sua rielezione al Palácio do Planalto, la sede della Presidenza federale della Repubblica e progettata dall’architetto Oscar Niemeyer; in aggiunta la Rousseff è accusata di aver violato la Costituzione, per aver decretato nel 2015 l’aumento della spesa pubblica senza chiedere il previo consenso del Parlamento.

La settima economia mondiale sta vivendo dal 2015 la peggiore recessione degli ultimi decenni, con un’impennata del debito, la spesa pubblica fuori controllo e il tasso di disoccupazione che è salito vertiginosamente dal 4,3 per cento del 2013 ad oltre il 10 per cento degli ultimi mesi. Ma l’impeachment contro la presidentessa Rousseff rappresenta solo la punta di un iceberg di una crisi politica drammatica in Brasile che rischia di sfociare in una lotta sociale tra opposte fazioni.

L’ex guerrigliera socialista da giovanissima partecipò alla lotta armata contro la dittatura militare brasiliana e finì in prigione per tre anni. Fondatrice del Partito dei Lavoratori, nel 2002 fu una delle artefici del successo di Lula alle elezioni presidenziali, del quale divenne ministro e una delle principali collaboratrici. Nel 2009 la stampa brasiliana la definiva la donna più potente del Brasile e una delle più influenti al mondo. Vinse le elezioni presidenziali del 2010, fortemente appoggiata dal suo predecessore e mentore Lula, ed entrò in carica nel gennaio del 2011. Alle elezioni presidenziali del 2014 venne rieletta con il 51 per cento dei voti.

Se il Senato dovesse votare per il suo impeachment - e 50 senatori hanno già espresso l’intenzione in tal senso - la Rousseff verrebbe allontanata dalla presidenza per tutta la durata del processo a suo carico. Al suo posto si sta già scaldando il vicepresidente e leader del Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb), il settantacinquenne Michel Temer, che starebbe già scegliendo i ministri del nuovo Governo, con un’agenda politica ben definita: misure economiche immediate per favorire la ripresa dell’economia, attesa con impazienza dai mercati finanziari di tutto il mondo, drastici tagli di bilancio alla spesa pubblica, la riforma del sistema pensionistico e regole più severe sul mercato del lavoro. Insomma, una sterzata in controtendenza rispetto a quelli che erano stati i cavalli di battaglia della socialista Rousseff.

La presidentessa accusa il suo vice di averla tradita e di aver ordito il golpe parlamentare alle sue spalle, dalla sua residenza di Jaburu a pochi chilometri dal palazzo presidenziale, in combutta con il presidente della Camera dei deputati, il conservatore e arcinemico della Rousseff, Eduardo Cunha. Lo speaker Cunha è stato sospeso, nei giorni scorsi, dalle sue funzioni con un’ordinanza della Corte suprema federale. I giudici federali, nominati in larga parte dalla stessa presidentessa, hanno disposto il provvedimento dopo che Cunha è stato indagato dai giudici di Sao Paulo con l’accusa di aver intascato tangenti dal colosso petrolifero brasiliano Petrobras. Lo scandalo Petrobras, venuto alla luce nel 2014, ha svelato un fittissimo giro di corruzione di molti uomini politici brasiliani, di tutti gli schieramenti politici, a cominciare dal Partito dei Lavoratori, quello della stessa Rousseff e del suo predecessore Lula, il cui nome è stato spesso citato nell’indagine dei magistrati brasiliani che sono addirittura arrivati a chiederne l’arresto, poi bloccato. Anche lo stesso vicepresidente Tamer è comparso negli atti e i giudici sospettano che incluso il suo partito sia stato “gratificato” da Petrobras.

Il quadro è dunque drammatico: a meno di tre mesi dal prossimo 5 agosto, la grande inaugurazione dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, più di 200 milioni di brasiliani vivono ore di grande angoscia, con una presidentessa prossima all’impeachment e praticamente tutta l’élite politica del Paese coinvolta nell’enorme scandalo di corruzione Petrobras. La capitale Brasilia sta vivendo ore da fine regime, con i ministri del governo che preparano rapidamente i cartoni in vista di lasciare i propri uffici, il parlamento paralizzato e la piazza infuriata che preme. Mala tempora currunt, sed peiora parantur, direbbe un Cicerone brasiliano dei giorni nostri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02