Politica estera,  note stonate di Renzi

Che la politica estera di un Paese occidentale non sia il luogo della rettitudine è noto. Troppe variabili di scenario impongono ai governi della nazioni sviluppate di dosare pesi e misure in base agli interessi nazionali da tutelare. Ma il bilancino di Palazzo Chigi deve essersi starato. Perché certe scelte di politica estera del Governo Renzi proprio non si comprendono.

Prendiamo il caso di Giulio Regeni, il giovane ricercatore sequestrato e ucciso lo scorso gennaio al Cairo, dove si trovava per ragioni di studio. Il corpo, che recava evidenti segni di tortura, è stato rinvenuto esanime lo scorso 3 febbraio dalla polizia cairota sul ciglio di una strada. L’opinione pubblica italiana è rimasta molto scossa dall’orribile vicenda. Doverosamente il nostro Governo ha chiesto alle autorità politiche egiziane di fare piena luce sull’accaduto. Tra i principali sospettati sono finiti gli apparati di sicurezza, noti per i loro violenti metodi d’indagine. Di fronte alle drammatiche evidenze delle atrocità inflitte al povero Regeni, le autorità del Cairo si sono incartate in un vortice di bugie e depistaggi. Il continuo stop-and-go di informazioni date e poi smentite agli inquirenti italiani incaricati di seguire il caso, ha precipitato l’Italia e l’Egitto in una complicata crisi diplomatica. Sotto l’aspetto etico il nostro Governo ha tutte le ragioni per indignarsi del comportamento reticente e ambiguo del partner nord-africano. Tuttavia, valendo in politica estera il principio di realismo, viene il dubbio che si stia esagerando nel mettere sotto pressione un alleato in modo tanto plateale.

La scorsa settimana, a seguito della mancata consegna dei tabulati telefonici della vittima ai magistrati romani che seguono l’inchiesta, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha richiamato il nostro ambasciatore al Cairo per consultazioni. Ciò significa aver spinto la crisi fino alla soglia della rottura delle relazioni diplomatiche. Dal punto di vista morale, nulla quaestio! Il compito supremo di un governo è quello di tutelare la vita e la dignità dei suoi cittadini, ovunque si trovino nel mondo. Tuttavia, bisogna considerare l’altra faccia della medaglia. Il governo di al-Sisi, sul quale l’Italia ha puntato, non è così stabile come appare. Non vi sono soltanto i Fratelli Musulmani a contrastarlo. Altre correnti, anche interne al mondo dei militari dal quale lo stesso al-Sisi proviene, potrebbero voler giocare un ruolo da protagonista nel futuro di un Paese prossimo alla bancarotta nei conti pubblici. Quindi, non si può escludere l’ipotesi che l’omicidio Regeni sia stato un deliberato tentativo di sabotaggio della stabilità delle relazioni tra la presidenza egiziana e il suo maggior sponsor occidentale, giacché è del tutto evidente che il raffreddamento dei rapporti sia destinato ad avere conseguenze sulla partnership.

Ora, è lecito domandarsi: a chi giova questo cambio di scenario? Forse non è un caso se, ieri l’altro, i media di tutto il mondo abbiano mostrato la faccia sorridente del presidente francese François Hollande in visita al Cairo, dove ha firmato contratti miliardari in forniture militari. Della serie: quando si parla di quattrini non siamo tutti Giulio Regeni come invece siamo stati tutti Charlie Hebdo e Bataclan. Questo bagno di realismo ci fa dubitare che sia stata una buona idea tirare troppo la corda con al- Sisi. Forse Renzi pensava di dare al partner d’oltremare una facile dimostrazione di prova muscolare? Se è così ha sbagliato i tempi. D’altro canto, non è stato fatto altrettanto con l’India che ha umiliato l’Italia con la storia dei marò, né è stato mosso un dito contro i predoni libici che hanno sequestrato e ucciso Fausto Piano e Salvatore Failla, i due incolpevoli lavoratori italiani dimenticati tra le sabbie della Tripolitania. Con l’Egitto Renzi gioca a fare la faccia feroce. Passi pure l’improvviso sussulto di coscienza, ma un po’ di coerenza no?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:00