Che fa Renzi in Iran?

“Pecunia non olet”, d’accordo. C’è però un limite all’indecenza. La madre di Reyhaneh scrive rivolgendosi a Matteo Renzi con queste parole: “Forse il primo ministro italiano viene in Iran per dare voce alle migliaia di impiccati? O per impedire l’amputazione degli arti, oppure per prendere posizione contro le espulsioni dalle università delle minoranze religiose o etiche? Forse vuole recarsi nelle carceri per consolare le mamme, come Narghes Mohammadi in carcere per reati politici, alle quali viene impedito da mesi di vedere i loro piccoli, visto che lo stesso Matteo Renzi, da sindaco di Firenze, ha partecipato ad una campagna in suo favore? Forse andrà a trovare Mohammad Rounaghi, anch’egli prigioniero politico malato e in sciopero della fame e della sete, per appurare la sua condizione di salute? Vorrà sapere di Atena Ferghadani, condannata a 12 anni di carcere per una vignetta? O prendere posizione contro la tortura? Che questo primo ministro sia una persone per bene; chissà? Però, se è qui per un mero scopo commerciale, le future generazioni del mio amato Iran lo malediranno. Dico soltanto che l’Iran da molti anni è al primo posto per il numero di impiccagioni e non aggiungo altro”.

La signora Shole Pakravan è madre di Reyhaneh, la giovane donna innocente impiccata dal regime dei mullà il 25 ottobre del 2014, accusata di aver ucciso Morteza Sarbandi, un ex dipendente dell’intelligence iraniana, che la voleva stuprare. La signora Pakravan ricorda al primo ministro italiano che contro l’impiccagione della sua Reyhaneh gli italiani e perfino il Papa hanno preso posizione. Alla fine, però, l’hanno impiccata, la sua figlia innocente. “Se io avessi una botteguccia/ fatta di una sola stanza/ vorrei mettermi a vendere/sai cosa? La speranza”. La signora Pakravan conclude la sua lettera con i versi di una poesia di Gianni Rodari ed aggiunge: “Io andrei alla botteguccia di Gianni e comprerei tutta la speranza che c’è, per auspicare che il politico italiano stia qui oltre per fare affari anche per parlare di questioni umanitarie”.

Un gruppo dei prigionieri politici dal carcere di Gouhar-dasht di Karaj, una cittadina vicino a Teheran, in una lettera a Renzi ricorda con queste parole la pagella nera del regime dittatoriale: “… Lei, signor primo ministro, non può non sapere ciò che le abbiamo elencato, ma ciò che è doloroso ed imperdonabile è la politica di appeasement dei governi occidentali, tra cui quello italiano, che ignorano del tutto le sofferenze del popolo iraniano. I politici occidentali nei loro Paesi si riempiono la bocca di belle parole sui valori e sui diritti, ma corrono a fare affari con la peggiore delle dittature, e in tal modo la incitano a proseguire nella sua via sanguinaria. Lei, signor primo ministro, sappia che stringere le mani dei mullà, assassini del popolo iraniano, sarà un macchia indelebile che l’accompagnerà per sempre”.

In un’altra lettera rivolta a Renzi è del prigioniero politico Hassan Sadeghi che scrive: “Se il suo viaggio in Iran è per strappare una promessa di pace o di democrazia dal padrino dell’integralismo non perda tempo, è inutile. Potrebbe venire a trovare me nel carcere di Gouhar-dasht, o andare a Evin a trovare mia moglie, oppure a casa mia a Teheran per vedere come vivono i miei figli con i genitori innocenti in carcere”.

Arzhang Davoodi, insegnante e poeta, il più longevo dei prigionieri politici in Iran, scrive così a Renzi: “Sono certo che il regime medioevale al potere in Iran con la sua pesante burocrazia impedirà ogni sviluppo sano nei rapporti tra i due Paesi. Considerata la provvisorietà e l’instabilità endemica del regime dei mullà che li poterà ad un fatale scapicollo, il suo viaggio metterà a repentaglio i buoni e storici rapporti tra i due popoli”.

Reza Akbari, da 39 mesi in carcere con l’accusa di aver chiamato al telefono il fratello membro dell’opposizione dei Mojahedin del popolo, scrive queste parole a Renzi: “Il regime dei mullà né può né vuole cambiare e tutto il Medio Oriente brucia a causa sua”.

Un altro prigioniero politico, Saleh Kohandel, dal carcere di Gouhar-dasht scrive al presidente del Consiglio italiano: “Questa visita avrà luogo in un momento in cui non è più un segreto che la fonte principale di tutte le sofferenze del Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq fino allo Yemen, è il regime dei mullà al potere in Iran. Lo sa anche la gente comune e lei, in qualità di capo di governo di un grande Paese come l’Italia, non può non saperlo. L’odore del petrolio, purtroppo, dà uno stato di ebrezza che fa chiudere gli occhi di fronte alle evidenze e rende sordi alla voce di milioni di profughi siriani, iracheni e yemeniti. Ma forse, per lei non hanno alcuna importanza i più elementari diritti del popolo iraniano? Quelli che lei si appresta ad incontrare sono i macellai del popolo iraniano che hanno preso in ostaggio settanta milioni di iraniani. Egregio presidente Renzi, nella nostra cultura il reato del ricettatore è molto più grave di quello del ladro. Egregio presidente del Consiglio, in che lingua le dobbiamo dire che questi mullà non rappresentano il popolo iraniano? Perché vuole essere annoverato tra i sostenitori dei dittatori? Se lei potesse solo per un attimo ascoltare la voce degli oppressi anziché prestare orecchio solo all’oppressore! A causa di questa nefasta politica di appeasement la nostra pena è così grave che d’ora in poi non Vi chiederemo di smetterla; Vi urleremo la nostra rabbia e diremo alle Vostre genti ciò che state combinando”.

Intanto Ali Khamenei, leader spirituale della teocrazia iraniana, il vero detentore del potere, si dice soddisfatto del governo italiano. Non è male per il governo del Paese campione nella lotta alla moratoria della pena di morte guadagnarsi il bene placido del capo del regime campione delle esecuzioni capitali. Moltissimi iraniani di ogni estrazione sociale e politica hanno espresso la loro profonda rabbia contro il presidente del Consiglio italiano e la sua lunga delegazione in Iran. Gli iraniani, popolo orgoglioso e di cultura millenaria, seguono e conoscono molto bene le lobby che, anche in Italia, lavorano assiduamente e con particolare spregiudicatezza a favore del regime sanguinario al potere nel loro amato Paese. Tra i loro commenti più gentili c’è che forse l’Italia è abituata a trattate con la mafia, o che sa sguazzare bene nella corruzione. Il motivo per cui la delegazione italiana s’è recata in Iran, chiudendo tutte e due gli occhi, è solo per combinare affari. Il regime teocratico iraniano, che non fa nulla a caso, proprio quando la folta delegazione italiana capeggiata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi stringeva le mani agli uomini del regime, ha impiccato otto persone nel carcere di Gouhar-dasht. Il segnale del regime iraniano è chiaro: la materia dei Diritti Umani è Cosa Nostra. L’Italia, chiacchere a parte, da che parte sta?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:46