Operazione Yemen

Se non fosse una storia vera, potrebbe essere un’avvincente trama cinematografica, con tutti gli elementi, dalla sorpresa al coraggio, all’emozione e soprattutto al lieto fine, di un bel film d’avventura.

Siamo nello Yemen, Paese mussulmano posto all’estremità meridionale della Penisola araba; uno dei più poveri e disgraziati del pianeta. Dal gennaio dello scorso anno è in atto una sanguinosissima guerra civile che vede contrapposti, da una parte la comunità sciita Houthi e i seguaci del deposto presidente Ali Abdallah Saleh, che per decenni è stato leader incontrastato del Paese, dall’altra i partiti sunniti, maggioranza nello Yemen. Lo schieramento Houthi-Saleh, con molti reparti dell’esercito a loro fedeli, è appoggiato e finanziato dall’Iran, quello sunnita ha unito un fronte di 10 Paesi arabi guidato dall’Arabia Saudita (quelli del Golfo, oltre l’Egitto, il Sudan, il Marocco e la Giordania), che nel marzo 2015 ha inviato nello Yemen 150mila uomini delle forze di terra e 100 aerei caccia-bombardieri. Eppure lo Yemen era uno dei più antichi centri di civilizzazione del mondo, culla di regni epici come quello di Saba; i Romani, che cercarono di conquistarlo, lo chiamavano Arabia Felix per via dei suoi lucrosi traffici commerciali.

Anche il re di Israele, Salomone, figlio di David, invaghitosi della regina di Saba, inviò intorno al 950 a.C. verso quel Paese lontano, ricco e potente, molte migliaia di ebrei e per oltre due millenni i loro discendenti hanno vissuto tra Sana’a, la capitale dello Yemen, e la città di Rada, nel deserto a 80 chilometri a nord della capitale. Comunità ebraiche si sono anche sviluppate ad Aden nel sud. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, la comunità ebraica yemenita contava oltre 55mila unità e altri 8mila ebrei vivevano nella colonia britannica di Aden. Con la creazione dello Stato d’Israele, nel maggio del 1948, le comunità ebraiche nei Paesi a maggioranza mussulmana cominciarono a sentirsi minacciate e gravi attacchi vennero perpetrati contro ebrei ad Aden.

L’Agenzia Ebraica per Israele, l’organizzazione voluta dal governo israeliano con il mandato di proteggere le comunità ebraiche all’estero e accogliere ed inserire nel nuovo Stato gli immigrati ebrei da tutto il mondo, venne allora incaricata dal primo ministro David ben Gurion di organizzare l’evacuazione degli ebrei yemeniti.

L’operazione denominata “Sulle ali delle aquile” e soprannominata poi “Operazione Tappeto Magico” si svolse tra il giugno 1949 e il settembre 1950 e portò al rimpatrio verso Israele di 49mila ebrei yemeniti. Da Sana’a partirono 47mila tra uomini, donne e soprattutto bambini, altri 1.500 da Aden. Vennero utilizzati decine di aerei da trasporto, con bandiera inglese e americana per evitare il rischio di attentati arabi. Oltre 380 furono i voli che vennero effettuati dagli infaticabili piloti israeliani nel lunghissimo ponte aereo, che venne mantenuto segreto per mesi, fino a quando l’ultimo della lista non arrivò sano e salvo in Israele. Per la grandezza e complessità del piano, qualcuno a Gerusalemme arrivò a ribattezzare l’operazione col nome profetico “Venuta del Messia”.

Da allora, gli uomini dei Servizi segreti israeliani e l’Agenzia Ebraica hanno effettuato numerose evacuazioni di ebrei da zone a rischio del mondo; una tra le più famose l’“Operazione Mosè” che rimpatriò oltre 8mila ebrei etiopi in Israele tra il 21 novembre 1984 e il 5 gennaio 1985. Solo negli ultimi anni, e alcune azioni anche negli ultimi mesi, oltre 200 ebrei sono stati tratti in salvo e rimpatriati in Israele. Le autorità israeliane preferiscono spesso non rendere pubbliche le operazioni di evacuazione, specialmente da Paesi ostili e pericolosi, per non compromettere agenti “coperti” sul posto e vie di fuga.

Ma pochi giorni fa, in un’operazione i cui termini sono ancora coperti dal segreto, gli esperti agenti israeliani sono riusciti ad evacuare dallo Yemen in guerra ben 19 ebrei yemeniti. L’annuncio è stato fatto dal presidente dell’Agenzia Ebraica, Natan Sharansky.

I 19 yemeniti sono atterrati la scorsa domenica, nelle prime ore del mattino, all’aeroporto di Tel Aviv, a bordo di un aereo senza insegne che li aveva recuperati, secondo alcune fonti a Dubai. Sono in buone condizioni di salute, benché provati dal viaggio, che deve essere stato lungo e periglioso. Alcuni di loro sono avanti negli anni e tra il gruppo figura anche il rabbino, l’ultimo, di Sana’a che ha potuto trarre in salvo con i suoi effetti personali anche un antichissimo rotolo, di oltre 600 anni, della Torah. In una zona defilata dell’aeroporto sono stati accolti dalle autorità israeliane e trasportati in autobus ad un centro di immigrazione a Beersheva, nel sud di Israele.

Come abbiamo visto lo Yemen è in guerra e Sana’a è off limits anche per i diplomatici stranieri. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiuso le rispettive ambasciate e fatto rientrare il loro personale già da qualche mese. Non passa giorno senza che nella capitale yemenita venga fatta esplodere una bomba o che si registrino pesanti conflitti a fuoco. Il Paese è isolato dall’esterno dal blocco militare dei soldati della coalizione araba, che sorvegliano i confini terrestri e pattugliano al largo delle coste yemenite. Nessun aeroporto e eliporto è in funzione e la zona intorno a Sana’a è impervia. Le strade sono controllate da uomini armati con il grilletto facile. Eppure 19 anziani, donne e uomini, tra di loro un rabbino ortodosso, vestiti con abiti tradizionali e sembianze che da un chilometro li farebbero subito riconoscere come ebrei, sono stati fatti scappare, sani e salvi. L’operazione è durata settimane, forse mesi, di appostamenti, di verifiche sul posto, di prove di fuga.

“Un giorno forse faremo un film di quello che abbiamo fatto”, ha detto Sharansky. E possiamo essere certi che andremmo tutti a vederlo con l’ammirazione e il rispetto che quei coraggiosi agenti israeliani, che hanno salvato la vita di 19 loro correligionari in Yemen, meritano.

Mi si permetta, in chiusura, di ricordare che nella stessa Sana’a, da dove sono stati fatti evacuare gli ebrei yemeniti, pochi giorni fa quattro suore cattoliche, dell’Ordine di Madre Teresa di Calcutta, sono state barbaramente assassinate da terroristi jihadisti nel povero ospedale dove assistevano i malati. Se ne è parlato poco sulla stampa perché la notizia forse non era di quelle che “faceva cassetta” ma credo sia giusto rivolgere un pensiero e una preghiera in memoria di quelle martiri cristiane dei giorni nostri.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:30