Le elezioni in Iran,   gli entusiasmi virtuali

Contro l’uzzolo dei mass media italiani sulle elezioni più libere e nel Paese più libero e democratico sulla faccia della terra m’arrendo. Sul balletto delle cifre propagandate dal regime menzognero sulla partecipazione da “record” alle elezioni e replicate con fedeltà in Occidente, stendo un velo pietoso. Un gran risultato viene propagandato il “trionfo” di Ali Akbar Rafsanjani, un mullà ottantaduenne, contro Ali Jannati, un altro mullà novantenne, soprattutto per un Paese dove oltre il 60 per cento della popolazione ha meno di 35 anni.

Nella lista del “nuovo” ottantaduenne spiccano i nomi “eccellenti” come quello di Mohammad Reyshari, ex capo del famigerato ministero delle Informazioni, e giudice dei tribunali rivoluzionari, che ha spedito davanti al plotone di esecuzione, negli anni Ottanta, innumerevoli “controrivoluzionari”. Altra figura di alto profilo è Ghorbanali Dorri-Najafabadi, anch’egli ex ministro delle Informazioni coinvolto nelle uccisioni di centinaia di intellettuali iraniani, negli anni Novanta, passate alla storia come “uccisioni concatenate”. Questi due, insieme ad Ali Larijani, capo dell’attuale majlès islamico, da sempre vicini al leader spirituale del regime teocratico, sono stati eletti nella lista dei “moderati” all’assemblea degli Esperti. La lista di Rafsanjani-Rouhani si è presentata come il male minore contro il peggio, ovvero gli uomini di Ali Khamenei. Contemporaneamente, la lista ne ha abbordato i fedeli, timbrandoli col marchio di “riformisti e moderati”.

Mentre il Consiglio dei Guardiani aveva eliminato oltre il 60 per cento dei candidati, quasi tutti “riformisti”, a vincere sono risultati sempre i riformisti; se questo non è un miracolo delle elezioni nel Paese dei mullà, cos’è? Sarà che basta un marchio per trasformare un oltranzista in un riformista nuovo di zecca. A guardar bene non è tutto oro; tra gli eletti nella lista dei “moderati” di Rafsanjani-Rouhani per l’assemblea degli Esperti, c’è il mullà Ali Movahedi, arrivato quinto, che elogia il lavoro di bocciatura del Consiglio dei Guardiani e dichiara che non gli avevano detto in quale lista sarebbe stato candidato. Un altro eletto, arrivato dodicesimo, Mohammad Ali Taskhiri, consigliere di Khamenei, afferma che gli oltranzisti sono sulla strada giusta ed i moderati e riformisti no. L’intrigante gioco delle tre carte ha strabiliato, come sempre, i mass media occidentali, che continuano a riempire le loro pagine dei loro desideri e sogni per un immaginario Iran. Se la posta in gioco nelle elezioni del regime teocratico era scegliere tra il male e il peggio, visti i protagonisti e lo scenario, quanto è avvenuto non ha a che fare con la democrazia e con l’interesse della nazione iraniana. Desta meraviglia come i mass media ed alcuni esperti occidentali sposino la causa di un regime in forte difficoltà che agonizzante chiede alla popolazione che lo detesta di partecipare al braccio di ferro tra fazioni intestine. Elogiare e conclamare una elezione in cui molti candidati estremisti passano per moderati ha davvero senso? Questo porterà una grande nazione assetata di libertà, come quella iraniana, verso un cambiamento con cui stabilizzare il Medio Oriente nel caos più totale? Non sono pochi in Occidente disposti a fare le scimmie che non vedono e non sentono, ma parlano con la voce del padrone. Questo atteggiamento sottovaluta il fenomeno dell’integralismo che ha il cuore a Teheran. Si può continuare a non vedere l’Iraq, e soprattutto la Siria che brucia grazie alle nefaste ingerenze del regime iraniano? Si può ancora negare che l’Isis sia lo stepchild di Obama e Khamenei?

Tornando alle elezioni del regime dittatoriale iraniano, si può confermare che la guerra intestina tra Rafsanjani e Khamenei ormai è al culmine. In questa guerra è Khamenei, il perno del sistema, a dissanguarsi ancora, e con lui il suo regime. Se Khamenei perde non vince Rafsanjani perché anch’egli è parte del sistema. In questo scenario, oltre alla volontà di Rafsanjani-Rouhani di conquistare la fetta più grande di potere e divederlo magari con gli avidi dell’Occidente, non si vede null’altro all’orizzonte. Difficile immaginare un avvenire migliore per la popolazione di uno dei Paesi più ricchi del mondo, non solo per il gas e il petrolio, dove oltre dieci milioni di persone vivono nelle baracche, dove ci sono sette milioni di disoccupati e tante altre catastrofiche situazioni. Ogni anno almeno centottantamila giovani istruiti fuggono dalla geenna dell’Iran, un Paese in cui oltre il 50 per cento dell’economia è saldamente nelle mani dei pasdaran che rispondono a Khamenei. L’Iran e il Medio Oriente hanno bisogno urgente di una risposta che non è l’integralismo “buono”, ma l’autodeterminazione, la laicità e la democrazia per cui il popolo iraniano si batte da più di secolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02