L’incognita libica

Ora che il Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, ne ha autorizzato la missione, i reparti scelti delle Forze speciali italiane termineranno nei prossimi giorni gli ultimi preparativi e saranno pronti per l’operazione Libia. I nostri “rambo” potranno condurre azioni militari, anche coperte dal segreto, con il coordinamento degli agenti dell’intelligence italiana già schierati in terra libica. Oltre alle truppe speciali dei marò del “Comsubin” e dei parà del “Col Moschin”, il dispositivo italiano per la Libia prevede la portaerei Cavour della Marina che già opera in attività di perlustrazione davanti alle coste di quel Paese, a cui si aggiungeranno i due sommergibili della classe Todaro, un aereo cisterna e i Tornado di stanza a Trapani-Birgi.

L’intervento italiano si colloca nell’ambito della missione militare internazionale di supporto alle autorità libiche contro i terroristi di Daech, alla quale partecipano anche Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Il comandante del contingente internazionale potrebbe essere il generale italiano, Paolo Serra, attuale consigliere militare dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia Martin Kobler. Nelle prossime ore i parlamentari dell’assemblea di Tobruk dovrebbero finalmente votare, dopo una serie di rinvii, la fiducia al nuovo governo di unità nazionale, che nasce con l’obiettivo di stabilizzare il Paese, arrestare le violenze tra bande, far ripartire l’economia libica e arginare l’avanzata dei terroristi jihadisti. L’accordo per il governo di unità nazionale era stato firmato a Skhirat, in Marocco, lo scorso 17 dicembre, dai rappresentanti delle diverse fazioni libiche e dei governi di Tobruk e Tripoli, che si sono combattute da sedici mesi in un conflitto che ha gettato la Libia nel caos e spalancato le porte all’avanzata di Daech. I 17 Paesi sponsor dell’intesa libica si erano trovati pochi giorni prima della firma di Shikrat alla conferenza di Roma insieme all’inviato speciale dell’Onu Martin Kobler.

Di intervento militare di forze straniere in Libia contro lo Stato Islamico si parlava ormai da diversi mesi. Fino ad ora si era preferito attendere per evitare che la presenza di soldati stranieri potesse aggiungere ulteriore instabilità ad una situazione esplosiva di suo. La precondizione per l’invio di soldati era legata alla formazione di un governo di unità nazionale che sostituisse l’esecutivo di Tripoli, formato da una coalizione di gruppi islamisti, e quello di Tobruk, fin qui il solo ad essere riconosciuto internazionalmente.

In Libia, nella zona di Bengasi, sono presenti, in tutta segretezza, da mesi le teste di cuoio francesi, come pubblicato nei giorni scorsi in un reportage dal quotidiano Le Monde. Il distaccamento di ‘forze speciali’ del Secondo Reggimento Paracadutisti della Legione Straniera insieme agli incursori della Marina ammonterebbe a 150 unità e sarebbe dislocato presso la base aerea Benina, a 19 chilometri da Bengasi, dove i francesi hanno stabilito un ‘comando di coordinamento’ per le operazioni con l’esercito libico del generale Haftar. Insieme ai militari operano gli agenti arabisti della Direction générale de la sécurité extérieure (Dgse), il servizio segreto per l’estero della Francia, che conoscono molto bene la Libia dai tempi dell’intervento della Nato contro Gheddafi. I soldati francesi sarebbero intervenuti a Bengasi nei mesi scorsi in appoggio all’offensiva lanciata dalle truppe di Haftar contro le forze islamiste tripolitane e avrebbero guidato sul terreno con puntatori laser l’attacco aereo americano sulla città di Derna, lo scorso novembre, nel quale venne ucciso Abu Nabil al-Anbari, uno dei leader di Daech.

Aerei caccia francesi sorvolano costantemente i cieli libici in missioni di ricognizione e la Francia ha allestito una base militare d’appoggio logistico nel nord del Niger al confine con la Libia. Oltre ai soldati francesi, i nostri uomini troveranno gli uomini dei reparti speciali statunitensi e britannici che da diversi mesi hanno svolto attività di intelligence, raccolto informazioni sulla struttura e il funzionamento dello Stato Islamico e mappato le reti delle loro attività.

Il 19 febbraio scorso caccia americani hanno compiuto un bombardamento mirato a Sabrata, a ovest di Tripoli, per colpire alcuni miliziani accusati di aver partecipato agli attacchi terroristici dello scorso anno in Tunisia, al Museo del Bardo e al resort di Susa. I jihadisti eliminati stavano pianificando altre azioni terroristiche in Tunisia. Nel bombardamento sono rimasti uccisi anche alcuni ostaggi, tra i quali due diplomatici serbi, da mesi nelle mani dei terroristi islamici. L’avanzata dei terroristi di Daesh in Libia è coincisa con l’aggravarsi della situazione politica interna; il paese è piombato in uno stato di anarchia dopo le elezioni politiche del 2012, le prime dopo la caduta del vecchio regime. L’incapacità di gestire la transizione del dopo Gheddafi per la litigiosità delle fazioni politiche e dei gruppi militari, che ha fatto tornare a galla vecchie ruggini territoriali e ha prodotto clan e bande locali più o meno grandi ma armate e violente, ha fatto precipitare il paese, tra i più ricchi al mondo per riserve e giacimenti di idrocarburi, in un caos totale e in una situazione economica disastrata. Anche l’adozione nel maggio del 2013, da parte del Congresso generale nazionale libico della legge sul cosiddetto “isolamento politico” ha contribuito ad acuire la tensione. Il provvedimento, richiesto dalle milizie armate che avevano abbattuto Gheddafi, prevedeva la esclusione per dieci anni dalle cariche pubbliche per tutte le persone accusate di aver servito il regime di Gheddafi, sin dal 9 settembre 1969, primo giorno del Colonnello al potere, fino alla sua caduta, il 23 ottobre del 2011. Secondo molti, l’adozione della legge di isolamento politico era stato il motivo principale dietro la partizione de facto del paese, tra Tripoli e Tobruk, e lo stato conseguente di anarchia.

Daech ha saputo dunque sfruttare tutti i punti deboli all’origine del fallimento della nuova Libia e ha conquistato terreno, arruolando ex ufficiali di Gheddafi e radunando giovani jihadisti tunisini che avevano combattuto nelle fila dell’Isis in Iraq e Siria. Nel febbraio 2015 i miliziani del Califfato in Libia sono apparsi per la prima volta sul web, diffondendo le drammatiche immagini dell’esecuzione di 21 cristiani copti egiziani. Dalla città di Derna, da dove sono partiti, i jihadisti si sono allargati fino ad issare la bandiera nera sulla città costiera di Sirte, città natale del clan Gheddafi, e sulle aree circostanti.

Il califfato in Libia ha attratto un numero crescente di jihadisti, provenienti in particolare dal nord Africa - Tunisia e Algeria soprattutto - e ha potuto contare su ingenti fondi, provenienti dall’estrazione e dalla vendita dei barili delle raffinerie petrolifere, che numerose sorgono intorno a Sirte. I miliziani di Daech puntano ora a conquistare i porti di Al Sidra e di Ras Lanuf, i più grandi terminal petroliferi del Paese, che assicurerebbero ai terroristi enormi vantaggi. Poche settimane orsono solo l’intervento aereo ha potuto respingere l’assalto jihadista ai cancelli del porto di Al Sidra.

Per vincere Daech in Libia sarà però fondamentale il coinvolgimento delle popolazioni locali. I soldati della coalizione internazionale, e primi tra tutti gli Italiani, dovranno evitare a tutti i costi di apparire agli occhi dei Libici come nuovi colonizzatori. Da questo punto di vista, le minacce lanciate contro l’Italia da uno dei leader di al Qaida nel Maghreb islamico, Abu Ubaydah Yusuf al-Anabi, sono indicative di un clima sempre più rovente. Il terrorista ha accusato il nostro Paese di voler “occupare Tripoli” in una nuova crociata contro l’Islam.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:39