L’Europa e il ruolo dei  Parlamenti nazionali

“L’incontro di oggi è molto importante per la fase critica che stiamo vivendo, in cui è fondamentale che le famiglie progressiste europee si riuniscano per parlare di una politica realmente comune dell’Unione europea di cui si sente la mancanza”.

Con queste parole, la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, ha inaugurato i lavori della Conferenza “L’Europa di fronte alle sfide del futuro. Il ruolo dei Parlamenti Nazionali”, cui hanno preso parte, fra gli altri: il presidente del Partito Socialista Europeo (Pse), Sergej Staniŝev; il capogruppo del Pse al Parlamento europeo, Gianni Pittella; il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi.

Interessante la scelta degli organizzatori di dividere l’evento in due parti distinte: da un lato la prospettiva di una crescita sostenibile che faccia leva sugli investimenti e sul lavoro, dall’altro i cambiamenti dei fenomeni migratori, uniti ai temi della solidarietà della sicurezza e dell’integrazione. Infatti, tali sfide, pur diverse fra loro, presentano un filo conduttore legato dalla necessità che gli Stati affrontino tutte le questioni contenute in esse con politiche condivise e vi colgano una grande opportunità per crescere insieme, come affermato da Sergej Staniŝev, presidente del Pse.

La prima parte, in particolare, è stata caratterizzata da una critica feroce rivolta alle politiche di austerity, che non solo si sono rivelate incapaci di superare la grave crisi economica ma hanno reso la situazione ancora peggiore a causa della notevole perdita di posti di lavoro che essa ha determinato. In particolare, un no secco all’austerità “cieca e sorda” è arrivato da Gianni Pittella, capogruppo del Partito socialista europeo. Al contrario, egli ha affermato la necessità di disporre di un utilizzo pieno della flessibilità economica che faccia leva su un piano adeguato d’investimenti. Quindi, Pittella ha evidenziato come il sostegno alla Commissione Juncker dipenda anche dal completamento dell’unione bancaria con una garanzia comune sui depositi, poiché “è finita la delega in bianco alla Banca centrale europea”. Gli altri interventi pronunciati dai maggiori rappresentanti dei partiti socialisti di Ungheria, Lussemburgo, Francia, Lettonia e Lituania, hanno avanzato una serie di proposte miranti a rafforzare la dimensione sociale della governance economica, le quali muovono dalla necessità di creare maggiori posti di lavoro, di stabilire crescenti investimenti nel campo della cultura e dell’istruzione, arrivando fino alla previsione di un salario minimo europeo armonizzato.

Sulla necessità di una politica europea della crescita che faccia leva sul lavoro ha posto l’accento anche il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan. Infatti, secondo Padoan, il problema della mancata occupazione è ancora lungi dall’essere risolto ed è questa la principale ragione per cui l’Europa viene vista dai cittadini come il problema e non come la soluzione. Quindi, Padoan si è riallacciato a quanto affermato da Pittella sulla necessità di avviare la costruzione di un’unione bancaria basata su sistema di depositi che sia realmente comune, quale passo decisivo per il completamento dell’Unione monetaria, “perché se crediamo in essa è dovere di tutti condividere i rischi, altrimenti manca l’elemento fondamentale della fiducia reciproca”.

A questo punto, auspichiamo che specie in campo economico non sia il mero profitto a guidare le nuove politiche economiche europee ma che i valori che la stessa crisi economica ha contribuito a mettere in discussione, quali la giustizia e l’uguaglianza, vengano ribaditi a voce alta. Questi stessi valori devono essere messi in primo piano anche in relazione al fenomeno migratorio che sta interessando il nostro continente. Come evidenziato da Marina Sereni, vicepresidente della Camera dei deputati, l’esodo di popoli verso l’Europa è ormai un dato strutturale che deve essere affrontato con una strategia europea comune ed a lungo termine. Fra le proposte più interessanti avanzate c’è quella di Thomas Oppermann, presidente del Gruppo Spd della Germania, il quale chiede di ristabilire il controllo delle frontiere esterne creando degli hotspot europei per l’identificazione di queste persone e un sistema che permetta loro di fare domanda di asilo prima che giungano in Europa rischiando la loro stessa vita, nei campi che accolgono i rifugiati in Medio Oriente ed in Africa.

Sul tema del corridoio di sicurezza per i profughi che li sottragga a trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo ha fatto leva anche il rappresentate della Grecia, Vasilis Kegkeroglou, che ha chiesto anche una maggiore cooperazione delle città europee per favorire le politiche d’integrazione. Inoltre, altra questione che ha trovato il favore di tutti i relatori è stata il superamento del Trattato di Dublino, ormai “obsoleto”, attraverso un sistema di ripartizione dei rifugiati fra gli Stati membri basato su criteri ragionevoli, ivi compresa la situazione economica di ciascun Paese. Altro elemento fondamentale evidenziato anche da chi, come la Germania e la Svezia, ha avuto il più alto afflusso di migranti è quello di considerare gli stessi non come un costo ma come un’opportunità, data le prospettive demografiche che attendono l’Europa, con un progressivo invecchiamento della popolazione. La soluzione non è e non deve essere la chiusura delle frontiere e la fine di Schengen e, di conseguenza, di un’idea di Europa basata sulla libera circolazione delle persone, e non solo di capitali e merci.

Questo, il messaggio di cui si sono fatti portavoce tutti coloro che hanno partecipato alla seconda parte della conferenza, indipendentemente dalle soluzioni che hanno proposto tenendo conto della circostanze diverse in cui vive ciascun Paese. Se i partiti progressisti non si assumono la responsabilità di affrontare la questione migratoria in maniera unita, finiranno per delegarla a delle forze antisistema, le quali hanno trovato terreno fertile proprio nel malcontento creato dall’incapacità dei partiti di maggioranza e delle stesse istituzioni europee di dare risposte efficaci alla crisi economica e al fenomeno migratorio. Infatti, come affermato da Maria Elena Boschi, ministro per i Rapporti con il Parlamento, al termine del convegno, criticare Bruxelles non significa essere euroscettici, anzi, proprio chi vuole bene all’Europa e al suo progetto deve agire e lavorare duramente per dare una svolta alle politiche europee e renderle più vicine ai cittadini, altrimenti il rischio è che il 2016 si trasformi in un 1989 alla rovescia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08