In memoriam di Antonin Scalia

Per Antonin Scalia, non era il Bill of Rights a offrire la più solida garanzia della loro libertà ai cittadini americani. Era invece il fatto che il potere del governo centrale è bilanciato e limitato non da dichiarazioni di principio, per quanto ispirate: ma dal potere dei singoli Stati. Era lì, nella struttura del federalismo, in una separazione dei poteri che non era mero annuncio ma reale competizione, che si è fatto spazio alla libertà. Il genio dei padri fondatori fu prendere sul serio il monito di Montesquieu: “Perché non si possa abusare del potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere”.

Nei suoi ventinove anni alla Corte suprema statunitense, il giudice Antonin Scalia ha firmato più opinioni di minoranza che di maggioranza. Le scriveva con brio, avendo in mente quale lettore gli studenti di giurisprudenza, coi quali continuava a parlare, come aveva fatto in cattedra prima d’indossare la toga. L’obiettivo era lasciar traccia di una interpretazione diversa, aliena da quel superomismo giudiziario che porta i tribunali a diventare qualcosa di più che arbitri di dispute e conflitti. Quando, nel 2013, Scalia ha tenuto il “Discorso Bruno Leoni”, il titolo non poteva che essere “Democracy, Judicial Activism, and Free Markets”. In quella lezione come altrove, Scalia, siciliano sanguigno se mai ce n’è stato uno, riconosceva alla sua visione costituzionale priorità sulle sue convinzioni, politiche e morali.

Scalia è stato il maggiore esponente dell’“originalismo” o “testualismo”. L’originalismo tende ad essere frainteso come una dottrina che separa giustizia costituzionale e politica, riportando i giudici a un ruolo tecnico di esecutori e guardiani della legge costituzionale. In realtà, il contributo di Scalia è ben diverso e ben maggiore.

Richiamare il significato testuale e storico delle clausole costituzionali non significa fare del giudice un archeologo. Significa invitare chi ha il potere legislativo sovrano a modificare la legge, compresa quella costituzionale, se essa davvero non corrisponde più all’idem sentire di una nazione, senza nascondersi dietro la supplenza dei giudici. A questo Scalia ha costantemente richiamato giuristi e opinione pubblica: a non cercare nella Costituzione qualcosa che nella Costituzione non c’è.

In molti credono che le supreme istituzioni di uno Stato, come appunto la Corte suprema statunitense e la nostra Corte costituzionale, non avendo altri sopra di sé debbano trovare al proprio interno gli anticorpi contro l’abuso del loro stesso potere. Con Scalia, morto nel sonno sabato scorso dopo una battuta di caccia, l’America perde un prezioso “anicorpo” contro gli abusi di potere.

Per trent’anni, è stato il più efficace guardiano della Corte stessa, colui che non ha mai smesso di ricordarne il ruolo e i limiti. Anche agli stessi colleghi.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:48