Iran: i sorrisi di Rohani e la morsa del regime

In occasione della visita in Italia del presidente della Repubblica Islamica – che è come dire dello Stato Islamico – dell’Iran, Hassan Rohani, la macchina di propaganda di quel regime, presentata come ‘informazione’ con la complicità di molti media europei e nordamericani, si impegna con nuovo vigore per occupare telegiornali e carta stampata esaltandone improbabili virtù e mascherandone fallimenti e crimini.

Più sorridente del consueto per la fine della maggior parte delle sanzioni, grazie all’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare, Rohani incontrerà politici e imprenditori che ignoreranno o faranno finta di ignorare alcuni tratti essenziali della sua storia: che per molti anni è stato segretario del “Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale”, che ha promosso e guidato durissime ondate di repressione contro la società civile, che si è vantato pubblicamente più volte di avere ingannato gli interlocutori occidentali e che è stato membro del comitato incaricato di organizzare operazioni speciali, compresi atti terroristici in diversi Paesi.

Nel tentativo legittimo di ricavare qualcosa di rilevante dal nuovo ciclo di relazioni internazionali, nonostante la crisi da eccessivo abbassamento del prezzo del petrolio provocata dall’annuncio di immissione sul mercato di grandi quantitativi di greggio iraniano, quegli stessi imprenditori e politici dovranno anche dimenticare il ruolo dell’Iran nell’esportazione del terrorismo e tenere per irrilevanti i dati sulle sistematiche violazioni dei diritti umani connaturate a quel regime, e che negli ultimi due anni si sono ancora intensificate e aggravate.

In particolare, come documentato da Nessuno tocchi Caino, dall’inizio della presidenza Rohani si sono avute oltre duemila esecuzioni, con una tendenza in aumento negli ultimi mesi: in maggioranza per reati connessi al traffico o al consumo di droghe, in molti casi per attività di opposizione politica, per la vaga colpa di “moharebeh”, cioè “inimicizia verso Dio”, o semplicemente per comportamenti considerati immorali senza vittime, come rapporti omosessuali, adulterio o consumo di alcolici.

Durante la trentesima sessione del Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU, nel settembre 2015, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein ha dichiarato che in Iran “il sempre maggior utilizzo della pena di morte, i timori sul diritto ad un giusto processo ed il continuo arresto di giornalisti, blogger e difensori dei diritti umani restano le prime cause di preoccupazione”. In dicembre, una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha criticato l’Iran per le pene disumane come fustigazione e amputazioni, per l'aumento delle esecuzioni anche pubbliche e per le esecuzioni di minorenni. L’Iran, del resto, pratica anche l’escissione del globo oculare, applicando letteralmente il principio dell’occhio per occhio, per chi abbia provocato l’accecamento di qualcuno.

Secondo Ahmed Shaheed, Inviato Speciale dell'Onu sui diritti umani in Iran, durante la presidenza Rohani “la situazione complessiva è peggiorata” e il governo iraniano “dimostra un ostinato disprezzo sia per la dignità umana che per le leggi internazionali sui diritti umani”. Le autorità in Iran, come ricorda Shaheed, “continuano a imprigionare membri della società civile che esprimono critiche nei confronti del governo o che affermano pubblicamente cose in contrasto con le comunicazioni ufficiali. La posizione del governo è che giornalisti, avvocati o attivisti per i diritti umani non vengono arrestati per il loro attivismo in sé, ma per ‘reati contro la sicurezza nazionale’. Questa logica ha condotto alla detenzione di più giornalisti che quasi in qualsiasi altro Paese al mondo, spesso con imputazioni che non rispettano i requisiti internazionali per i limiti giustificabili alla libertà di espressione, come ‘propaganda contro il sistema’, ‘assemblea e associazione contro il sistema’ e ‘insulto a personalità del governo’”.

La perdurante discriminazione delle donne e il rigido sistema di segregazione fra i sessi completano il quadro della repressione interna. Emblematico il caso della giovane disegnatrice Atena Farghadani, detenuta per una vignetta contro membri dell’Assemblea islamica consultiva, che nel settembre scorso è stata anche imputata di “relazione sessuale illegittima” e “condotta indecente” per avere, in prigione, stretto la mano al suo avvocato.

Chi dunque a Roma, per esigenze di Stato o per prospettive di affari, avrà – se maschio – la discutibile opportunità di stringere la mano di Rohani, ricordi che il suo essere un hojatoleslam (nell’islam sciita, un rango clericale di poco inferiore a quello di ayatollah) non ne fa affatto un rispettabile sant’uomo, ma ne evidenzia la piena appartenenza al sistema di potere di una dittatura spietata, arroccata in una formula politica teocratica. I riflettori illumineranno i suoi sorrisi; ma sarebbe ormai il tempo di puntarli su quei milioni di iraniani che del regime sono vittime, e soprattutto su quanti, con un coraggio esemplare, lo sfidano consapevoli di rischiare la propria vita. A loro dobbiamo rispetto, attiva solidarietà e gratitudine: anche perché i loro ideali di libertà sono gli stessi su cui altre generazioni, delle quali dovremmo cercare di essere degni, hanno fondato la nostra Repubblica e l’Unione europea. 

 

(*) Antonio Stango ([email protected]) è membro della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, segretario del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani e coordinatore del Congresso mondiale contro la pena di morte per Ensemble Contre la Peine de Mort, con sede a Parigi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:11