Iran, il nuovo amico

Sabato scorso il direttore generale dell’Agenzia atomica internazionale, il diplomatico giapponese Yukiya Amano, rendendo pubblico il rapporto dei suoi ispettori sul programma nucleare iraniano, ha annunciato che Teheran ha rispettato pienamente i termini dell’accordo dello scorso luglio: di conseguenza le sanzioni internazionali contro l’Iran, in vigore dal 2002, sono state revocate. L’annuncio, storico, è avvenuto a Vienna dove si è svolto l’incontro tra il capo della diplomazia iraniana, Javad Zarif, con il segretario di Stato americano John Kerry e l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini.

La positiva chiusura del negoziato è stata salutata dalle autorità iraniane con un significativo segnale di distensione: il procuratore generale di Teheran ha infatti annunciato che cinque persone con la doppia cittadinanza iraniana e statunitense sono state liberate nel quadro di uno scambio di detenuti con gli Stati Uniti, che hanno scarcerato a loro volta sette iraniani e scagionato altre 14 persone. Tra gli americani liberati figura il giornalista del Washington Post, Jason Rezaian, scarcerato dopo 18 mesi di carcere con l’accusa di spionaggio.

La fine della disputa nucleare e l’annullamento delle sanzioni segna il ritorno dell’Iran sullo scenario internazionale, questa volta nella parte dei “buoni” e schiude, in una fase ancora difficile per l’economia mondiale, il ricchissimo mercato iraniano. Il Paese è il quarto produttore mondiale di greggio e il secondo di gas naturale ma è stato fermo per decenni a causa delle sanzioni e delle tensioni internazionali; il governo di Teheran intende ora fare in fretta per recuperare il tempo perduto e far decollare di nuovo la propria economia, modernizzando industrie, infrastrutture, sistemi di trasporto. C’è da rimettere in moto un intero paese di oltre 77 milioni di abitanti che nutre forti ambizioni di potenza economica regionale. C’è chi stima in almeno 800 miliardi di dollari il flusso di denaro che verrà attivato con l’ingresso di Teheran sul mercato mondiale; come primo passo l’Iran ha annunciato in questi giorni di aver sottoscritto con Airbus una commessa per l’acquisto di 114 nuovi aerei civili.

Negli ultimi mesi, da tutto il mondo missioni governative hanno iniziato a visitare Teheran con l’obiettivo di rafforzare le relazioni economiche e commerciali e altre lo faranno nelle prossime settimane: il presidente cinese Xi Jinping, a capo di una robusta delegazione commerciale, visiterà Teheran a fine gennaio, solo per citarne uno. Dopo 12 anni di lunghe ed estenuanti trattative, la firma dell’accordo e la conseguente abolizione delle sanzioni rappresentano per Teheran e per i negoziatori di Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Unione Europea, un enorme successo diplomatico. Non sono mancate naturalmente le critiche, in particolare quelle dei deputati repubblicani al Congresso degli Stati Uniti o dei conservatori al parlamento iraniano e voci contrarie si sono levate anche in Arabia Saudita, in Israele e in altri paesi. I potenziali benefici dell'accordo sono innegabili. In primo luogo si riaccende la speranza in un mondo migliore, più coeso e meno diviso, dove i leader planetari possono lavorare insieme per risolvere problemi comuni: risolleva ora la certezza che la proliferazione nucleare diventa meno probabile in Medio Oriente, almeno per i prossimi dieci anni. La corsa che il programma nucleare iraniano rischiava di scatenare tra i paesi arabi limitrofi è stata disinnescata a Vienna, dove anzi si è rafforzato il regime globale di non proliferazione nucleare e il ruolo di controllo dell’Agenzia Atomica Internazionale.

L’accordo inoltre permette la normalizzazione delle relazioni tra l'Iran e l'Occidente, in un momento storico cruciale con la pericolosa avanzata del terrorismo jihadista in Medio Oriente. Certo bisognerà tenere in conto delle preoccupazioni dei vicini arabi sunniti e storici avversari di Teheran, che temono che con la revoca delle sanzioni, l'Iran sarà più forte e in grado di competere con l'influenza degli Stati del Golfo. La crisi diplomatica scoppiata tra Teheran e Riad ed estesasi alle altri capitali sunnite del Golfo dopo l’impiccagione dell’Imam sciita al-Nimr può essere letta in questo senso. E i riflessi negativi nei conflitti in Siria e Yemen, dove Iran e paesi sunniti del Golfo sono schierati su fronti avversi, sono sotto gli occhi di tutti.

Ma saranno le dinamiche politiche interne all’Iran il vero punto di svolta per capire quale sarà l'impatto dell'accordo nucleare. Molti a Teheran, probabilmente la maggioranza nelle istituzioni iraniane, hanno sostenuto con entusiasmo il presidente Rohani nel suo obiettivo di risoluzione del confronto nucleare e fatto il tifo per i suoi negoziatori, convinti che l'Iran non ha più bisogno di essere perennemente in contrasto con il resto del mondo, come è successo negli ultimi decenni. Altri, però, i conservatori e i duri legati alla Guida Suprema, ayatollah Ali Khamenei, e al generale Mohammad Ali Jafari, capo della Guardia Rivoluzionaria, che guardano l’Occidente e gli Stati Uniti ancora con diffidenza, hanno considerato la disputa come un elemento chiave dell'identità rivoluzionaria del Paese e si sono opposti fino alla fine. L’elemento imprescindibile, che avrà immediati effetti sulla riposta della opinione pubblica interna, sarà dato dai tempi di reazione dell’economia iraniana al nuovo corso.

La sospensione delle sanzioni, connesse con il graduale ritorno delle compagnie internazionali, potrà certamente rilanciare l'economia dell'Iran, ora in grandi difficoltà, e incoraggiare le migliaia di giovani neo laureati e le migliori risorse culturali del paese a cercare il loro futuro in Iran piuttosto che all'estero. E’ sull’esito dei risultati economici che è atteso Rohani, leader dei moderati e progressisti. Era stato eletto con la promessa di migliori condizioni di vita, che rimangono difficili. Gli elettori gli hanno concesso una moratoria sui primi 30 mesi della sua presidenza, che lo hanno visto completamente assorbito dai negoziati nucleari. Ma ora la gente ha bisogno di vedere risultati concreti. L'inflazione è scesa da oltre il 40% del presidente, il “falco” conservatore, Ahmadinejad, a sotto il 13% di oggi, ma a costo di una recessione senza precedenti e del continuo calo del valore del rial, la moneta nazionale. In queste condizioni, la caduta del prezzo del petrolio, a meno di 30 dollari, complica notevolmente il compito del presidente Rohani, che ha bisogno di capitale per rilanciare e modernizzare l'economia.

Il prossimo 26 febbraio, nelle elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento, Rohani sarà chiamato ad una prima verifica. Se i primi indici economici del dopo-sanzioni non saranno incoraggianti, i moderati e progressisti potrebbero essere traditi dalle urne e a quel punto sarebbe tutta in salita la rielezione di Rohani nel 2017.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:44