Al via i saldi

La corsa ai saldi è una tradizione - ma anche il palesamento di un’imposizione. Questo perché i commercianti non sono liberi di decidere quando mettere in sconto i prodotti stagionali e di moda, ma devono attendere che le regioni stabiliscano giorno d’inizio e di fine. I saldi, tutt’oggi, avvengono su gentile concessione del sovrano. Il motivo per cui, nonostante i plurimi tentativi di liberalizzazione delle vendite di fine stagione, ancora oggi debba essere l’autorità politica a decidere se i vestiti di un negozio possano essere scontati a novembre anziché a gennaio risente della convinzione che tutelare la concorrenza significhi vietare a qualcuno di essere “troppo” concorrenziale rispetto agli altri.

Pochi forse sanno che la disciplina in materia di saldi risale al periodo fascista. Fu sotto il regime che vennero introdotte le categorie delle vendite straordinarie per fine stagione, strettamente disciplinate nel solco di una gestione dell’economia che doveva verificare e sorvegliare e autorizzare le corrette condizioni di compravendita. I tempi sono cambiati, i conti col passato sono stati saldati e il linguaggio si è ammodernato: non si parla più di sistema corporativo e di gestione concertata delle attività economiche, ma di effetti distorsivi del mercato o, paradossalmente, di tutela della concorrenza. Ma la sostanza è esattamente la stessa: sottrarre libertà di scegliere, per negozianti e acquirenti, anche per decisioni banali come il prezzo dei cappotti, nella grande illusione che i decisori politici sappiano fare meglio di noi. La disciplina dei saldi è una normativa vetusta, per origini e per efficacia. Essa è stata temperata, e inoltre commercianti e clienti sanno già come ovviarla. Ciò ne rende persino più difficile l’abrogazione, perché ritenuta quasi inutile.

È proprio per questi motivi che sarebbe una modifica opportuna e per la quale i tempo sono ormai maturi. Chissà se un giorno ci stupiremo al ricordo che esisteva un obbligo per i negozianti di praticare le vendite di fine stagione solo in una finestra temporale prestabilita dal legislatore, almeno quanto dovremmo sorprenderci oggi a ricordare che non più di venti anni fa non si poteva comprare il pane di domenica.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29